Dopo i saluti introduttivi da parte degli organizzatori e degli ospiti istituzionali si entra nel vivo nel convegno.
Le donne, vere protagoniste in cucina, sono all’origine della dieta mediterranea.
Infatti, tutto ciò che fa parte della natura, della fertilità dei campi è intimamente legata al ciclo femminile.
«La dieta mediterranea è un endo cucina strettamente legata all’agricoltura – spiega Carlo Cambi, giornalista enogastronomico -. La più grande invenzione dell’uomo è stata la pentola, non certo la ruota, da quando abbiamo cominciato a capire come cucinare gli alimenti, l’uomo riesce a mangiare cose che non ha bisogno di cacciare».
Si stabilisce un rapporto sociale dato dagli alimenti, dalla terra che coltiva e dal territorio che vive: il tutto è relegato nelle mani femminee.
«Al vino è data una affermazione dello status, è un alimento ma è anche strumento sacrale – continua Cambi -, anche se all’inizio del Cristianesimo era il latte, e non certo il vino, poiché v’era un legame tra le donne e il vero nutrimento. Inoltre, le prime domesticazioni dell’olivo sono avvenute in Italia poiché c’è più diversificazione del territorio e del gusto rispetto alla Grecia».
Il matrimonio diventa un vero e proprio contratto alimentare: «la donna diventa custode del fuoco, dei medicamenti, attenta al nutrimento della prole con una grande capacità che risiede(va) nella combinazione tra massimo nutrimento con minimo dispendio economico».
E ironizza – ma mica tanto – sui rapporti interpersonali che ancora intercorrono in una coppia.
«Gli uomini cacciavano le prede ecco perché si girano quando passa una bella ragazza e le donne hanno una capacità olfattiva meravigliosa: dovevano proteggere la prole capendo, solo annusando, se i cibi erano guasti ed erano sani. Ecco perché se un uomo non si fa la doccia lo notano subito!».
E poi un’esortazione: «Quando si va al McDonald si va a meretrici alimentari. È importante capire che si compra il prodotto alimentare non ad un prezzo ma ad un valore. Care donne, se non tornate a fare le mamme, se non riuscirete a dare cibo sano ai vostri figli, potremmo fare tutti i convegni del mondo ma si interromperà il filo della natura».
D’accordo l’esperto enogastronomico Pasquale Di Lena: «Se non c’è olio, non c’è dieta mediterranea. Parlare di gastronomia è un valore alimentare e italiano:allo stesso modo con cui bisogna tenere in piedi i musei eliminando le tasse su i biglietti, bisogna detassare anche gli alimenti».
«Quando l’olio arrivava dai campi l’uomo lo lasciava alle donne che lo mettevano al sicuro: si avevano piccole case ma avevano lo spazio necessario per mantenere un grande alimento – continua di Lena – C’era il “msriell”, nella mia lingua, un mezzo, una unità di misura, poichè l’olio è misura. Bisogna rimettere al centro della ruota un perno e questo è certamente l’agricoltura. Nel mio dialetto “Zitt” vuol dire sposa, ma vuol dire anche silenzio: il silenzio dell’olio era nelle mani della donna».
Il 17 novembre 2010 l’Unesco ha ufficialmente dichiarato la Dieta Mediterranea “Patrimonio Immateriale dell’Umanità” caratterizzata non solo da un modello alimentare ma da uno stile di vita.
«Si va oltre l’elencazione dei cibi, si va alla loro radice osservando l’agricoltore, la semina, il raccolto – spiega Alessandro Zagarella esperto politiche Unesco Mipaaf -. La tavola, la condivisione del pasto e della tradizione diventano, nel panorama mediterraneo, l’apice con il momento del convivio. Dobbiamo capire quale sia la strategia più adatta a non disperdere le nostre tradizioni alimentari: abbiamo perso il caffè, infatti, oggi il caffè più bevuto risulta il Nespresso, i settori produttivi rappresentano la spina dorsale della natura puntando alla rivitalizzazione del patrimonio rurale».
Arriva come una mannaia l’intervento di Antonio Moschetta, Direttore Scientifico IRCCS Istituto Oncologico di Bari: «Il tasso di obesità è notevolmente aumentato, nel 2020 se continuiamo così in Puglia uno su due avrà una malattia neoplastica (al momento siamo 1 su 3), abbiamo il tumore alla mammella diagnosticato ad una media di 35 anni».
Dunque la soluzione è distribuire cultura, prevenzione e considerare il nostro territorio alimentare.
«Il 2003 è terminato il progetto dell’analisi della sequenza del dna umano: si potranno diagnosticare in anticipo quali saranno le nostre malattie. Siamo in stretto rapporto con l’ambiente, come ci spiega la nutri genomica, dove la nutrizione è più importante di quello che respiriamo. Il recupero del territorio comincerà dal recupero del terreno e di ciò che ingeriamo. Importante, poi, è il progetto Pivolio (per saperne di più http://www.youtube.com/watch?v=I8viGJJ5hXk, ndr): cambiando il territorio e il micro nutrimento del terreno in cui si va a piantare l’olivo, cambierà il suo sapore, le sue proprietà nutritive».
Importante poi la testimonianza di Francesca Delorusso dell’Azienda agricola “Donna Francesca” e Letizia Cuonzo dell’omonima azienda che con grande tenacia hanno investito nel loro futuro puntando all’agricoltura.
Entrambe hanno invitato i ragazzi, loro coetanei, a tornare alla terra vera e sola fonte di lavoro e turismo imprenditoriale.