Mercoledì sera, un pezzo di storia della musica contemporanea è transitato per l’impiantito del teatro Traetta.
Mantenendone intatta la sacralità, quando non aggiornandola.
Una inconfondibile tastiera hummond capace di vertiginose ascese e morbidezze irripetibili, una chitarra elettrica dal suono arcano e catturante, una batteria pirotecnica e virtuosa anziché no, e un basso carezzevole ma pure malinconico: ecco il James Taylor Quartet.
In un baleno, fra atmosfere Funky, con sconfinamenti suadenti nella musica psichedelica anni sessanta, e sonorità acid jazz, gli astanti – in verità, non proprio as-tanti, data la caratura internazionale dell’ospite – si sono ritrovati sbalzati nel mondo folle di peripezie degli spy movies o nel nostalgico mare della giovinezza perduta con Stursky And Hutch.
La simpatia contagiosa di Giacomo, come si è italianamente ribattezzato ammiccante l’artista, ha coinvolto tutti in balli discreti da club anglosassoni ed in battiti di mani allegramente cadenzati, non senza il rimbrotto amaro al solito spettatore impegnato più a pestare la tastiera dello smartphone che ad ascoltare i pezzi dell’eccelso quartetto.
‘Bitonto is beautiful town‘, ha esclamato Taylor più sincero che ruffiano, dopo un’ora e fischia di acrobazie da impareggiabile hummondista.
Ma i bitontini se ne sono accorti che è transitato dalle nostre lande un ‘monstrum’ della musica contemporanea?