Micheal
Radford ricorda Massimo
Troisi nella penultima giornata del Bif&st.
Il regista ha una biografia cosmopolita: nato in India a Nuova Delhi nel ’46, è cresciuto
in Medio Oriente, ha studiato ad Oxford ed ha vissuto nella passione
tra letteratura, cinema e teatro.
«Non
ho radici perché sono stato un giovane errante – racconta
Micheal -. Una volta in Italia arrivai
non per vedere monumenti ma i comportamenti delle persone. Mi affascinavano. È sempre
quello il messaggio che cerco di dare all’interno dei miei film: guardate che
in tutto il mondo c’è gente con i nostri stessi sentimenti. Ho imparato bene l’italiano
perché, anche grazie alla lingua che si
capisce appieno una cultura».
Ed è proprio così. Il britannico, ha tenuto la
platea per due ore con un italiano perfetto senza aver bisogno dell’ausilio
dell’interprete.
Ricorda lui stesso che l’Italia era scritta nel suo
destino: «Una zingara all’Università mi
disse “Tutta la tua fortuna un giorno
sarà in Italia”. Non ci diedi peso, effettivamente è stato così».
Tutta la sua fortuna è stata incontrare Massimo Troisi, che
ricorda con affetto. «Guardai “Ricomincio
da tre” e notai Massimo. Aveva lo humor vicino a quello inglese, mi piaceva.
Era perfetto – racconta Radford – Gli
proposi la sceneggiatura del film e mi disse che in Scozia faceva troppo freddo
e non voleva fare il film. Quando mi propose Napoli, gli dissi che faceva
troppo caldo».
Al di là di tutte le battute, “Il Postino”, film cofirmato da Radford e Troisi, che lo interpretò
morendo durante gli ultimi giorni delle riprese, ebbe luogo a Napoli.
Drammatico il racconto del regista a partire delle ultime scene girate tra controfigure che dovevano avere la stessa sagoma, persino delle orecchie di Troisi, all’audio registrato dalla voce di Massimo poco prima di morire.
«È stata una scommessa fare un film in un’altra lingua,
non fu facile e i ripensamenti sono stati tanti: Vidi duecento attrici per il ruolo di Beatrice e non capivo se facevano
finta di essere napoletane. Presi un caffè in piazza del Popolo e vidi due
inglesi: dal modo in cui dissero “Please, can you give a cup of coffee?” capii molte cose di loro. E mi dissi: “Non posso fare un film dove non c’è la mia
cultura”. Massimo mi corse in soccorso e mi disse: “L’importante è l’umanità e tu ce l’hai, al resto pensiamo noi”».
Umanità, senso di umore, sensibilità della gente
modesta che ha sofferto è questo che ha colpito il regista americano.
«Massimo
era un Dio per la troupe e loro facevano quello che voleva lui, io diventai l’assistente.
Aveva la capacità di far diventare alto il livello degli attori attorno a lui».
Durante la mattinata di venerdì sono stati presenti
anche 51 ragazzi del Liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Bitonto, accompagnati dai loro docenti, che
incuriositi hanno posto domande a Micheal Radford: «Che consiglio darebbe ai giovani che vorrebbero intraprendere la
carriera cinematografica dalla sceneggiatura, alla regia, fino alla
recitazione?».
Soddisfatto della presenza e dell’attenzione dei
giovanissimi il regista ha risposto: «Oggi
il cinema è molto diverso da quando ho cominciato io, il cinema prima era vivo
e oggi sta morendo. I budget sono sempre
ristretti, non puoi pensare, fare riflessioni mentre lavori. Oggi, però, d’altra
parte è facile fare video dal cellulare, con piccole camere e caricarli su
youtube, quindi l’unica cosa che sento di dire è se vuoi farlo, fallo! Se avete delle voglie, non bisogna esitare,
soltanto crederci fino in fondo: facciamo del nostro meglio per essere felici!»