Tutti quest’anno non hanno fatto altro che parlare di “Grande bellezza” e inserire queste due piccole parole ovunque.
Eventi, incontri, dalla politica alla cultura.
Ma cosa è stato davvero il capolavoro di Paolo Sorrentino?
Molti l’hanno “capito”, molti l’hanno odiato ostentando commenti sulla piazza dei social come “e la trama qual è?”, “è troppo scuro, non si capisce niente”, pensando ci volesse chissà quale interprete per osservare la magnificenza di precisione tecnica, fotografica, luminosa e tanto altro.
Ma sarei di parte.
L’altra mattina (6 aprile 2014) al Teatro Petruzzelli di Bari vederlo non è stata la stessa cosa. Sono scrosciati minuti e minuti di applausi dai più dei 1400 presenti in occasione delle “Lezioni di Cinema” del Bari Film International Festival 2014.
«I miei personaggi sono spesso asociali, fanno fatica a stare dentro la società e io mi rivedo molto in loro – apre la conversazione il regista Sorrentino -. Il protagonista (Jep Gambardella interpretato da Toni Servillo, ndr) frequenta la mondanità per vivere in disparte i suoi problemi: l’orrore di sé è sempre maggiore di quello che si vede negli altri».
Dunque, cosa voleva raccontare? «Tutto quello che c’è al mondo. Tutti gli stati d’animo possibili. Volevo creare un tetto di ambizione e starci al di sotto – spiega Sorrentino -: la gioia, la disperazione, la bellezza e la bruttezza con l’emozione avuta da ragazzini per la prima fidanzata».
Tanta la nostalgia presente nel film italiano più premiato dell’anno: «È normale essere nostalgici.Nel futuro c’è vecchiaia e morte».
Oggi il cinema italiano pari si muova su binari sciolti e “lo zoccolo duro”, il pubblico, ha difficoltà a cogliere quello che si vuol dire. Questo, ne è stato esempio lampante.
«Un film deve necessariamente lavorare su un doppio binario, come avveniva per Fellini, Antonioni, Rossellini, quello delle idee e quello del linguaggio – afferma il regista -.Le idee, quelle buone? Diventano ossessioni o cose estremamente facili da realizzare. Se il mattino dopo all’idea non ci pensi più era solo una trovata. In questo essere severi con se stessi, aiuta».
E poi risponde: «Solo in Italia non ci si è ancora messi d’accordo su cosa sia un film: non è un catalogo, è un gioco, una selezione, non è necessariamente vero, l’essenziale è che sia coerente al suo interno».
Toni Servillo è stato protagonista in moltissimi film di Sorrentino (“L’uomo in più”, “Le conseguenze dell’amore”, “Il divo”, “La grande bellezza”) e molti altri della troupe tecnica: squadra che vince non si cambia? «Lavoro quasi sempre con gli stessi perché si è creata una bella sinergia, siamo una piccola grande famiglia oramai. Certo arrivare sul set e vedere i camion lì per me…, mi piace».
Da cosa si è sollecitati per la realizzazione di una “Grande bellezza”?
Il regista, a volte schivo dal voler dare risposte per la sua timida e misteriosa riservatezza tira fuori l’aneddoto di un pittore che alla domanda posta (“Quanto ci hai messo per compiere la tua opera”) rispose: “Ci ho messo dieci minuti e tutta la vita”.
Progetti per il futuro? «Ho fatto solo sei film, ho ancora tanto da raccontare rispettando libertà, verità e poesia».