Per il “Parco delle
Arti”, nell’ambito della quinta edizione del progetto comunale “Bitonto Citta’
dei Festival: viaggi letterari nel borgo” è stato ospite in città, nei giorni
scorsi, Antonio Gelormini, corrispondente di numerose testate giornalistiche
online e collaboratore per i principali quotidiani pugliesi. Ha ricevuto nel
2009 il “Premio Giornalistico Città di Riccione” assegnato ogni anno
alle migliori firme del giornalismo italiano di viaggi e turismo.
Cittadino di Troia, in
provincia di Foggia, è attualmente uno dei responsabili del Distretto Culturale Daunia Vetus della
Diocesi di Lucera-Troia, per la nascita di un Distretto Culturale (www.dauniavetus.it). Un progetto «unico in tutta la Puglia» partito grazie
ad un bando delle fondazioni bancarie che si propone di «costruire un polo di indiscussa valenza culturale, attraverso la
costituzione di un grande Museo che funga da nodo di attrazione e di
collegamento delle iniziative turistico culturali già esistenti».
A Bitonto ha presentato il
suo libro “Episcopius troianus. Il
taccuino di Troia“, edito da Gelsorosso Edizioni. Opera che narra la
sua Troia attraverso i racconti di Kaspar Jr. Van Wittel, appartenente alla
nota famiglia olandese naturalizzata italiana dei Vanvitelli, giunto nella
città dauna dalla sua natìa Olanda, dopo aver percorso idealmente, attraverso i
racconti di famiglia, la storia d’Italia dalla Firenze di Raffaello alla Roma dei Papi, dalla Napoli carolingia
alla familiare Reggia vanvitelliana di Caserta, giunge fino alla città dell’autore,
nel cuore dell’entroterra dauno. Qui vi è il Palazzo Vescovile, raccontato
attraverso le sue vicissitudini e attraverso i suoi meravigliosi dettagli. L’opera
di Gelormini è dunque il racconto di viaggio una Città, Troia, che ha rappresentato
un importante pezzo di storia della Puglia.
«Ma non un racconto generico di una città da parte di uno straniero»
è il commento di Nicola Pice: «È un racconto
che si sofferma sui dettagli».
«In questo libro tu fai parlare le pietre. Quelle pietre che raccontano
la nostra storia, che fanno parte del nostro DNA. È un invito a chiedersi cosa
fare della memoria, affinché giovi e non sia quel letargo di talpe con cui
Montale tacciava una memoria fine a sé stessa» aggiunge il giornalista Valentino Losito. Dello stesso parere il docente Giovanni Procacci, che ha
descritto il viaggio fatto dal protagonista del libro come «un viaggio interiore, fatto di sensazioni,
alla ricerca del rapporto con quel che vediamo, con noi stessi, con il nostro
passato, ma anche con il nostro presente, perché tutto quel che riguarda l’arte,
la bellezza, non è passato. Una sensazione simile a quella che possiamo provare
quando, passeggiando tra le pietre del centro storico, rifuggiamo dall’anonimato
e dalla spersonalizzazione della città».