I primi anni ’90 furono anni difficili per l’Italia, costretta a far fronte ad una crisi economica e istituzionale mai conosciuta prima. Il sistema politico si sfaldava sotto colpi sparati da più fronti. A dare il colpo di grazia, le inchieste della magistratura sui casi di corruzione.
In quel momento difficile per l’Italia e le sue deboli istituzioni, la criminalità organizzata approfittò per destabilizzare ulteriormente lo Stato e avanzare le sue richieste. Furono anni in cui a Palermo il sangue scorreva a fiumi e la mafia fece sentire la propria voce anche nel resto della penisola: Roma, Firenze, Milano.
Ed è proprio da quegli anni che Sabina Guzzanti parte per raccontare la trattativa tra Stato e mafia intavolata, secondo le inchieste della magistratura, per stabilire un equilibro tra i due partecipanti e porre fine alle stragi. Il film “La Trattativa”, uscito ad ottobre 2014 nelle sale e trasmesso ieri a Bitonto, è a metà strada tra documentario e fiction e racconta quelle vicende, per voce di alcuni lavoratori dello spettacolo che ne interpretano i personaggi chiave attraverso un espediente narrativo utilizzato anche da Elio Petri ne “Documenti su Giuseppe Pinelli”, con Gian Maria Volontè. La narrazione parte dall’omicidio di Salvo Lima, parlamentare democristiano siciliano colluso con la mafia, assassinato da quest’ultima il 12 marzo 1992.
La ricostruzione poi prosegue attraverso i racconti dei pentiti Gaspare Spatuzza, killer di Cosa Nostrareo confesso di svariati omicidi, e di Massimo Ciancimino, figlio di Vito, ex sindaco di Palermo e uomo di mafia. Si narrano gli omicidi di Falcone e Borsellino, gli attentati nelle grandi città italiane, il fallito attentato allo Stadio Olimpico di Roma, l’arresto di Riina e la mancata perquisizione del suo covo, le responsabilità del generale dei carabinieri Mori e di esponenti dei servizi segreti e dell’eversione nera, e infine il ruolo della mafia nella nascita, nel 1994, di un nuovo soggetto politico nato per evitare una vittoria della sinistra: Forza Italia.
Alla proiezione avrebbe dovuto partecipare la regista Sabrina Guzzanti. Ma impossibilitata a causa di problemi di salute, è stata solamente contattata via Skype.
«Ho scelto il cinema perché ha un effetto più duraturo e perché sono stata cacciata dalla tv dal 2003 e quindi non avevo molte altre scelte e, forse, dopo questo film, dovrò inventarmi qualcos’altro» ironizza la Guzzanti rispondendo alle domande del pubblico.
Nel film i personaggi sono interpretati con un’evidente dose di ironia e spesso parodiati. Una scelta narrativa che non è piaciuta ad alcuni dei personaggi presenti, come il magistrato Gian Carlo Caselli, che ne ha criticato i «toni cabarettistici».
«Caselli non è un esperto di comicità. Semplicemente non ha apprezzato la propria parodia. Si tratta solo di capire se sia opportuno questo stile di narrazione. Per me lo è. La satira e la finzione erano il modo più congruo per raccontare quel che avevo da dire. Allo spettatore non diciamo di credere, ma di ragionare insieme a noi – spiega la regista – È uno stile di recitazione naturalistico che consente all’attore di entrare e uscire dal personaggio e dalla scena girata. Il fatto che gli spettatori non siano abituati non significa che non sia adatto».
L’artista parla anche delle ragioni dell’insuccesso al botteghino della pellicola, additandolo alla censura, che ne avrebbe impedito un’efficace promozione.