Questa è la “storia non detta delle eroiche ragazze-pilota dell’Unione Sovietica nella Grande guerra Patriottica”, come è riportato nel sottotitolo di uno dei libri che meglio ne spiega l’epopea e la grandezza, quello del giornalista italiano Gian Piero Milanetti, che di titolo fa “Le streghe della notte”. E non è un caso, ma proprio per niente.
È anche la narrazione di un biplano di legno e tela, progettato, alla fine degli anni ‘20 del secolo scorso, per addestramento/ricognizione/collegamento, considerato talmente inutile nella guerra al nazifascismo che i tedeschi stessi lo chiamavano “aereo da granturco”, perché impiegato per spargere prodotti chimici in agricoltura. Peccato, però, che quello che consideravano un catorcio o un rottame è stato uno dei motivi principali della disfatta della campagna sovietica, e dell’inizio dell’avanzata senza fine delle potenze anti-asse.
Già, perché dell’Operazione Barbarossa tutti sanno dell’inverno rigidissimo che ha messo ko nazisti e soldati nostrani, costretti a una ritirata devastante, ma ben pochi ricordano che insieme alle temperature polari vi erano questi aerei a cui bordo c’erano donne, al tempo stesso, coraggiose, terribili e notturne. “Streghe della notte”, appunto, talmente fastidiose che in un rapporto del 1942 si recita che “i piloti sovietici che ci danno più problemi sono donne. Donne. Non temono nulla, vengono di notte a tormentarci con i loro obsoleti biplani e non ci fanno chiudere occhio per molte notti”. A firmarlo un capitano tedesco.
Partiamo dall’inizio, però. E da Marina Raskova. Classe 1912, cresciuta con il mito della rivoluzione d’ottobre che ha messo fine al potere degli zar e alimentato quello della grande madre Russia, giovanissima è assunta all’Accademia dell’Aviazione militare sovietica come tecnico di laboratorio, e in pochi anni diventa navigatore e pilota di aerei, mettendosi al petto ben presto la medaglia di eroe dell’Urss.
Quando, però, sul suo territorio arrivano gli ex alleati, Marina, già conscia della grande presenza di donne neanche 20enni impegnate negli eserciti, fa arruolare delle altre in aviazione, andandosi a prendere direttamente da Stalin gli aeroplani necessari. E così, dopo un addestramento durissimo e intensissimo, si creano tre reggimenti aerei, di cui il più famoso è il 588° Bombardamento notturno, che operava rigorosamente senza la luce del sole. In un periodo in cui, senza radar, infrarossi e visori notturni, tutto si faceva a vista.
La tattica è senza troppi fronzoli: 23mila missioni affrontate – alcune sono stati anche mortali, con la morte di 32 giovani donne pilote, 23 delle quali nominate “Eroine” dell’Unione Sovietica, due “Eroine” della Russia e una della Repubblica del Kazakhistan – o volando a pochi metri dal suolo per non essere intercettate, o arrivando da alta quota scendendo poi in picchiata col motore al minimo per non farsi sentire, o andando in missione con soli tre velivoli, dei quali due distoglievano l’attenzione della contraerea e il terzo si abbassava e colpiva.
E in questo gioco della vita che va incontro alla morte, anche per Marina a vincere è stata la seconda. Ironia del destino mentre era in volo.
È il 4 gennaio 1943. Una tempesta di neve la fa infrangere sul fiume Volga mentre stava raggiungendo Stalingrado.
Non ha neanche compiuto 31 anni, e i suoi resti sono stati inumati nel muro del Cremlino.