Tra sguardi allibiti e perplessi, salire su un treno della gloriosa Bari Nord è stato come prendere parte ad un lento, interminabile corteo funebre.
Si parte, ma non si sa bene quando, e non si arriva mai. Un indicibile strazio.
Sono giorni che la tratta Bitonto-Barletta è monca da Ruvo, ove con somma gioia per gli avventori si fa scalo per prendere il bus sostituivo che vada a concludere il tragitto.
A proposito, per quanto tempo ancora? Lacerti di vaghe informazioni cogli qui e là, senza certezze. Con anziani ingannati dai tabelloni nella sala d’attesa che segnano ancora convogli in arrivo con biblici ritardi e, in realtà, soppressi.
Sui vagoni, c’è chi mugugna per i tempi di percorrenza ormai tragicamente dilatati, col rischio sicuro di perdere appuntamenti e impegni lavorativi, per il costo del biglietto decisamente esorbitante in proporzione al (dis)servizio offerto.
Insomma, è il de profundis per la “nostra” Bari nord. Eppure molti di noi che, adolescenti, hanno viaggiato sul ligneo Far West, hanno visto negli anni un’azienda moltiplicare il numero delle corse e delle nuove stazioni, migliorare la qualità delle macchine, sempre più confortevoli ed esteticamente gradevoli, treni arrivare perfino con qualche minuto d’anticipo – caso rarissimo in un meridione che crolla a pezzi, specie in quest’ambito, vedansi altre compagnie di trasporti – e persino volti di giovani neoassunti, altra rarità.
È vero, c’è stata la strage di luglio che è ancora una ferita sanguinante nel cuore della Puglia, e, forse, si poteva fare di più per accrescere la sicurezza su quei binari, ma tutta questa demolizione dell’azienda cui prodest?
Ora che il numero degli utenti va scemando sensibilmente fino ad azzerarsi, che fine faranno macchinisti, controllori, dipendenti?
Che senso ha trasformare un eccellenza di Puglia in qualcosa da demonizzare e odiare?