Da un post del militare professionista oramai in pensione, nostro lettore e cittadino attivo Pasquale Rapio.
È notizia di queste ore di una tregua tra Israeliani e Palestinesi. Tregua richiesta da una buona parte del mondo con la speranza di un percorso di pace vero e che ambedue ii popoli si riconoscano reciprocamente.
Sono un vecchio militare professionista oramai in pensione, che ha partecipato a diverse missioni di pace nei Balcani. Ho partecipato anche nell’ ’83 all’operazione in medio oriente denominata “Libano 2“. Una missione a difesa dei profughi palestinesi che ha segnato profondamente e in modo indelebile il corso della mia vita privata e professionale.
Come da foto, la redazione del Da Bitonto riportò nel 1984, la notizia di due sottufficiali di Bitonto partecipanti all’ operazione. Il Serg. Magg. Antonio Carbone tuttora residente nel Lodigiano e dello scrivente Serg.Magg. Pasquale Rapio, attualmente residente a Bitonto. In braccio a Carbone vediamo la mascotte del contingente, Il palestinese Mustafà Haoui, attualmente tecnico di laboratorio della biobanca del Regina Elena in Roma.
È utile ricordare gli antefatti dell’ operazione, a memoria dei più giovani e meno giovani, del grande apporto umanitario fornito dall’Esercito Italiano, formato da giovani di leva, a supporto dei civili rifugiati Palestinesi e nello specifico per un tentativo di stabilizzazione di un’area mediorientale.
Tutto iniziò con l’operazione israeliana “Pace in Galilea” in Libano. Operazione che aveva l’obbiettivo di annientare le truppe dell’Olp di Arafat che dal Libano effettuavano incursioni verso il territorio israeliano. Per evitare l’annientamento delle truppe dell’ Olp da parte degli israeliani, la mediazione americana in accordo con i paesi Arabi stabili l’evacuazione delle truppe palestinesi verso i paesi Arabi. Una forza multinazionale di pace formata da americani, francesi e italiani era incaricata di scortare le truppe palestinesi da Beirut fino ai territori arabi ospitanti.
Gli Italiani così si trovarono a partecipare alla prima operazione del dopoguerra. (Libano 1). Terminata l’ evacuazione, il contingente brevemente si ritirò dal Libano. Dopo due giorni dal ritiro un attentato causò la morte del presidente Bashir Gemaiel, cristiano maronita e come ritorsione la falange cristiana del Maggiore Addad , con la complicità delle truppe israeliane perpetrò il massacro di circa 3000 civili palestinesi e sciiti nei campi profughi di Sabra e Chatila.
Grande fu lo sdegno internazionale e subito i contingenti italiano, americano, francese e 100 dragoni di sua Maestà furono inviati a protezione dei civili e collaborare con l’ autorità Libanese alla stabilizzazione dell’ area.
Con l’operazione Libano 2 il compito degli italiani fu quello di presidiare da incursioni i campi profughi palestinesi di Sabra, Chatila e Burj El Barajneh.
Nel novembre ’83, subito dopo l’attentato agli americani e francesi da parte di Hezbollah e che causò la morte di 241 marines statunitensi e 56 soldati francesi, ci ordinarono di andare in missione in Libano. Entrambi effettivi alla caserma S. Barbara in Milano, sede del Rgt. Artiglieria a Cavallo cui faceva parte Il Serg. Magg. Carbone e sede del 3° Btg. Trasmissioni “Spluga” di cui io facevo parte.
Carbone raggiuse Beirut prima di me. Io mi imbarcai a Pisa su un C130 diretto a Larnaca (Cipro) per poi andare con nave a Beirut. Sull’aereo trovammo una figura femminile. La dura e coraggiosa quanto divisiva Oriana Fallaci diretta a Beirut per conoscere la situazione e il personale del contingente che poi racconterà nel romanzo “Inshiallah“.
Carbone fu assegnato in qualità di meccanico in attività logistiche. Io invece avevo un delicato compito operativo. Dovevo assicurare i collegamenti telefonici in ponte radio dei vari reparti italiani dislocati a Beirut con la base operativa di Italcon, il collegamento satellitare di emergenza con la sala operativa dello Stato Maggiore in Italia e la linea telefonica civile tra Italcon e la centrale telefonica di Beirut di Shia che forniva il collegamento telefonico con la madre patria, collegamento che serviva ai militari per mettersi in contatto con i famigliari.
Diverse sono state le situazioni di pericolo affrontate per assicurare il compito a me assegnato. Uno fra tutte, che da persona anziana e in pensione a volte racconto, orgoglioso di esserne stato protagonista, fu quando nel gennaio-febbraio ’84 , inizio della crisi che portò al ritiro dei contingenti da Beirut, furiosi combattimenti tra milizie sciite Amal – Hezbollah ed esercito regolare Libanese, alcuni ordigni tranciarono la linea telefonica che permetteva il collegamento telefonico con le famiglie dei militari.
Il ripristino della linea non era possibile effettuarlo in sicurezza a causa dei continui e furiosi combattimenti, per cui per giorni non fu possibile comunicare con le famiglie e rassicurarle. In Italia intanto l’opinione pubblica era allarmata per la situazione e il mancato collegamento con i famigliari non facilitava il rasserenamento delle famiglie. L’ordine via radio un giorno arrivò nel pomeriggio direttamente dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Era inderogabile ripristinare le linee telefoniche con la madre patria. Tramite la catena di comando l’ ordine perentorio arrivò a me. Feci notare che erano in corso combattimenti e salire sui pali della luce per stendere una nuova linea telefonica tra la base del contingente e la centrale telefonica distante due chilometri, avrebbe comportato una inutile messa in pericolo della squadra stenditori al mio comando. Insomma, non era assolutamente il caso di fare il tiro al piccione. Le mamme e le fidanzate dovevano aspettare.
Tuttavia con il comandante della Trasmissioni raggiungemmo un compromesso. La mia squadra all’ alba, quando la situazione era più tranquilla si sarebbe mossa per l’ intervento.
Equipaggiati di Fal, elmetto e giubbotto antiproiettile, forniti di scale e con un AR76 che trainava le bobine di cordoncino telefonico, ci apprestammo a salire sui pali della luce e fissare i cavi telefonici campali. Ogni tanto si sentivano il crepitio delle armi e il sibilio di qualche pallottola. I movimenti erano faticosi e lenti a causa dell’equipaggiamento indossato e il tempo era tiranno. Dovevamo fare presto. A un certo punto decisi di posare personalmente le linee sia per il maggiore addestramento che possedevo rispetto ai militari di leva, sia perché dovevo portare me e la squadra fuori da quella situazione di pericolo. Irresponsabilmente mi tolsi il giubbotto antiproiettile e procedetti velocemente a fissare i cavi telefonici sui pali. La squadra, galvanizzata, mi supportava egregiamente nei movimenti e velocemente, nonostante le pallottole vaganti e verso mezzogiorno terminammo l’operazione in centrale. Al rientro, alla base Italcon verificai il collegamento e diedi l’ opportunità di telefonare. Il primo a telefonare alla mamma fu il Capo di Stato Maggiore fornendomi il corrispettivo di tre dollari stabiliti per telefonare. Facevamo anche questo in Libano. L’esattore delle telefonate. Subito si fece la coda e dovevo presidiare la cabina telefonica per riscuotere i tre dollari della telefonata. Non avevo ancora pranzato ed era tardi, ma dalle scale vidi sbucare il Serg. Magg. Carbone che al corrente di quanto fatto dalla squadra, mi portò, di iniziativa un vassoio contenente il pranzo. Unica forma di ringraziamento e gentilezza che ho avuto.
Dopo qualche giorno o settimana con l’arrivo del Ministro Spadolini a Beirut si decise il ritiro del contingente. Dall’inizio della crisi i cento dragoni di sua Maestà erano già al sicuro sulla nave, mentre i soldati italiani continuavano a mantenere le postazioni a difesa dei campi profughi palestinesi. Consegnato l’ospedale da campo e le derrate alimentari agli sciiti in breve tempo ci imbarcammo sulle navi, con dietro le strazianti richieste di aiuto dei profughi palestinesi che non volevano il nostro ritiro in quanto avevamo assicurato per due anni cure e sicurezza e tragicamente li lasciavamo a un incerto destino. Purtroppo la missione era fallita a causa della non autodeterminazione del popolo Libanese.
Imbarcati e con gli onori della marina militare americana facemmo rotta verso Livorno dove salpammo dopo circa una settimana. Livorno ci accolse con una cerimonia e grande entusiasmo sotto un’acquazzone tremendo cui presenziò il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Con un po’ di rammarico, nessuno da Bitonto venne a Livorno ad accogliermi. Nello stesso giorno della cerimonia Bitonto era visitata dal Papa.
Il giorno dopo fummo scortati dai carabinieri fino a Milano, per il rientro in sede, dove dopo pochi giorni, a causa della pioggia copiosa presa durante la lunga cerimonia a Livorno mi ammalai. Malattia che mi portò una degenza di qualche settimana.
Un ricordo va al marinaio Filippo Montesi unico caduto nella missione a causa di un attentato e ai 75 feriti nel corso dell’ operazione.
È utile ricordare inoltre che alla missione partecipò il Serg. Magg. Paolo Nespoli, assegnato di scorta alla giornalista Oriana Fallaci,e che anche grazie al pungolo della giornalista il sottufficiale realizzò il sogno di diventare astronauta italiano dell’ ESA/ASI.
Inoltre un ringraziamento particolare va al Cap. Salvatore Cantatore, barese dai modi spicci, addetto ai servizi, che grazie ai suoi buoni rapporti con le varie fazioni in guerra fece in modo di impedire che un camion pieno di esplosivo exogene facesse strage dei militari italiani, in analogia al contingente americano e francese. Un riconoscimento che la Forza Armata solo al suo pensionamento gli ha attribuito.