DI ROCCO BERARDI
Lo scorso 29 aprile è andato in scena l’atto unico “Processo a Dante Alighieri” presso l’Auditorium ‘de Gennaro’ della Fondazione SS Medici. La cura dell’originale quanto ambizioso e suggestivo lavoro teatrale era affidata alla Società Dante Alighieri, grazie alla puntigliosa e impegnata regia del prof. Nicola Fiorino Tucci.
Diciamo subito che l’ardita causa penale contro Dante Alighieri verteva sulla imputazione a suo carico di ben quattro reati di diffamazione. Occorre tuttavia sottolineare il fatto che, sin dall’apertura del sipario, gli spettatori si sono mostrati attentissimi e sempre fortemente coinvolti nella questione giudiziaria ´portata alla ribalta’ con una non comune interpretazione, davvero coinvolgente, già da parte dei testimoni che presto si sono dimostrati protagonisti dei quattro casi giudiziari (Fiorella Carbone, Luigi Lauta, Vincenzo Pannarale, Mariella Pastoressa, Nicola Rinaldi, Vito Stallone, Anna Jolanda Trovato), il cui chiaro recitativo (affidato ad una dizione nitida e lucente di sentimenti ed emozioni) è stato in grado di ricostruire perfettamente lo scenario reale che ha animato le singole vicende di queste anime profondamente tormentate. Vale a dire, in sintesi, l’amore, che Paolo e Francesca mettono in scena e celebrano come archetipo della poesia universale, mentre incombe tradito lo sciancato Gianciotto Malatesti (canto V dell’Inferno); l’omaggio profondo del discepolo al maestro nell’incontro di Dante col suo Maestro Brunetto Latini (canto XV dell’Inferno), che è nel contempo un omaggio di Dante a se stesso per aver molto imparato dal Maestro (ed essere riuscito a superarlo!); l’adesione convinta ai valori cristiani della Chiesa, in quel tempo particolarmente sottomessa al suo proprio potere temporale, come testimonia l’operato di Bonifacio VIII, fra l’altro accusato di
simonia (canto XIX dell’Inferno); la testimonianza di Pia dei Tolomei, la cui immagine più diffusa si nutre da un lato del sentimento di ‘dolcezza’ per antonomasia e dall’altro di un certo alone di figura di donna enigmatica (canto V del Purgatorio) su cui la critica ancora s’arrovella, partendo dalla cruda realtà di una lunga segregazione da lei subita (prima di essere scaraventata giù dal balcone) ad opera del marito, che l’accusava di infedeltà!
Diremo subito a chi fosse ansiosamente interessato al verdetto finale, vista anche l’autorevolezza non comune dell’illustre imputato, che una volta esaurita la celebrazione del processo nelle sue varie fasi e procedure, si è riunita in un’apposita sala di consiglio la Corte, magistralmente presieduta dal Presidente (l’interpretazione è a cura del dott. Nicola Liso), il quale ha ben illustrato ai quattro giurati incaricati (Antonella Imbasciani, Tina Saracino, Nicoletta Sblendorio, Rocco Berardi) il suo dotto e competente punto di vista sulla vicenda giudiziaria, mettendo ulteriormente in luce la precaria consistenza e lo scarso fondamento delle tesi avanzate e sostenute dai potenziali e presunti diffamati. Ne è scaturita un’articolata e convincente sentenza di assoluzione per il Sommo Poeta, considerato innocente per quel che riguarda l’accusa di diffamazione aggravata per tutti i quattro casi presentati nella Divina Commedia nei confronti cioè della famiglia Malatesti di Rimini, del fiorentino ser Brunetto Latini, dello stesso Papa Bonifacio VIII, di messer Nello dei Pannochieschi di Siena. Più che l’esito processuale della causa messa in scena, vogliamo piuttosto mettere in evidenza la originale composizione dell’originalissimo Atto unico rappresentato a teatro.
Condividendo a grandi linee l’impostazione di fondo di Jakobsen per quel che riguarda la funzione poetica del linguaggio in genere, un particolare uso della lingua comunque deve essere finalizzato a ottenere la migliore comunicazione, in particolare attraverso l’evidenza e la valorizzazione degli strumenti significanti, a cominciare dalla forma fonetica fino al recitativo! Sulla scena processuale dantesca si è così assistito ad una rivisitazione di episodi della Divina Commedia che ha molto affascinato il pubblico per la sua freschezza, la vivacità della lingua e l’originalità della rielaborazione scenica, la quale si è subito caratterizzata come un dispiegarsi di azioni da riuscito esperimento teatrale che ricalca movenze post-avanguardiste. Ma tutto questo, è indispensabile e prioritario rilevarlo, ha potuto aver luogo grazie al funzionale espediente comunicativo basato sulla incessante alternanza sul palco fra il volgare ‘nobile’ fiorentino – affidato in particolare al già menzionato Cancelliere, incaricato dell’ inquadramento e della puntuale ’lettura del caso’, con la conseguente e complessa sua articolazione sia semantica che per l’appunto fonico-interpretativa, come magistralmente ha fatto il suo interprete e regista prof. Tucci) – e l’odierno parlato orale, a più voci, ad opera dei vari protagonisti impegnati e affaccendati nella soluzione del singolo caso sospettato di diffamazione.
A conclusione di queste fugaci riflessioni, di fronte alle penetranti luci della ribalta sapientemente diffuse e illuminanti in virtù della rappresentazione del “Processo”, non si può non accennare almeno ad una nota dolente circa la fruizione di Dante nelle nostre scuole. Stando ai sondaggi di cui si ha ripetutamente notizia nel corso degli ultimi anni, più del venti per cento dei giovani non leggerebbe mai i classici della nostra letteratura (come “I Promessi Sposi”, “La Coscienza di Zeno”, “L’Orlando Furioso”, ma anche “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”), compresa la Divina Commedia. Non c’è proprio da meravigliarsene! Anzi, se si concorda nel riconoscere che Dante non è un autore ‘popolare’, non vediamo come si possa pretendere che la gioventù italiana divori l’Alighieri: insomma, il Sommo è e rimane un autore ‘colto’ (o cult, se vogliamo fedelmente riportare il giudizio dei giovani secondo il loro linguaggio anglomane!), se non ‘coltissimo’. E tuttavia, anche se non è facile sostenere che Dante sia un autore ‘popolare’ o che la Divina Commedia sia la loro opera prediletta, è sacrosanto imporlo a scuola: semmai, se vogliamo davvero cercare di favorire in qualche modo un moto di simpatia fra Dante e la gioventù italiana, forse bisognerebbe circoscrivere il programma vasto della Commedia. In tal senso si potrebbe ridurre lo stesso numero delle Cantiche, forse privilegiando la lettura dell’Inferno che, come abbiamo avuto modo di constatare nella riuscitissima rappresentazione presso l’Auditorium della Fondazione SS. Medici, sarebbe più in grado di svegliare l’interesse degli studenti.
In definitiva, per dirlo in chiave dantesca, a teatro si è assistito ad un’autentica riviviscenza di temi che colorano da sempre l’intera Commedia Umana: sottolineiamo il termine ‘riviviscenza’ e non ‘revival’, come non poche persone affette da sciocca e inguaribile anglomania sarebbero tentate di dire!