La morte di Paolo Caprio, imbianchino di professione, che lascia la moglie e una bimba di cinque anni, ha scosso l’intera comunità di Bitonto.
Tutti, amici e conoscenti, lo ricordano come un ragazzo serio, rispettoso, educato e onesto lavoratore.
«Credo non ci siano parole abbastanza adeguate ad esprimere lo sdegno e l’incredulità – ha scritto il vicario episcopale della diocesi di Bari – Bitonto, don Gianni Giusto – D’altra parte tacere non è un’alternativa ragionevole. Forse non è tanto rilevante chi siano la vittima e l’uccisore. Probabilmente non è neanche tanto importante se si tratti di pregiudicati o meno, di violenza d’impeto o di questioni di malavita, di futili motivi o di gravi ostilità. Quel che è certo è che siamo difronte allo strazio di due famiglie per le quali la vita sarà completamente e tragicamente diversa da oggi in poi. E questo non può lasciarci indifferenti. Chiunque di noi potrebbe essere al loro posto. L’affare serio è la pericolosa china imboccata nelle nostre città (non solo a Bitonto): lo stile della rissa a tutti i costi, della violenza e della rabbia che prendono il posto del dialogo e dell’ascolto, dei muscoli che soppiantano l’umanità, della noncuranza da “far west” che lascia per terra l’avversario, dell’isolamento compiaciuto nella propria autosufficienza che ingigantisce il nulla, annienta ogni cultura e condanna all’imbarbarimento».
E conclude: «Certo i discorsi possono sembrare inutili e tutti reclamiamo fatti ma una riflessione si impone: non si può ridurre tutto al problema delle forze di sicurezza e dei controlli e delle leggi giuste e della giustizia sicura (tutte cose indiscutibilmente più che necessarie) ma è anche e soprattutto una “faccenda di Comunità”. Quanto e come la stiamo amando e ci stiamo credendo, su quali valori stiamo “scommettendo”?»