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Home » Monsignor Francesco Savino e Beppino Englaro si sono confrontati sul “fine vita” in un grandioso dibattito

Monsignor Francesco Savino e Beppino Englaro si sono confrontati sul “fine vita” in un grandioso dibattito

Nell'ambito dell'interessante Festival del Diritto in Piazza, organizzato dall'associazione Sapere Aude

Mario Sicolo by Mario Sicolo
30 Settembre 2019
in Cronaca
Monsignor Francesco Savino e Beppino Englaro si sono confrontati sul “fine vita” in un grandioso dibattito
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Le persone intelligenti non si scontrano, ma si incontrano. E, spesso, dopo aver espresso i loro punti di vista, anche divergenti, si abbracciano. Magari sul palco di un teatro, dove va in scena la vita.

E quelli che li guardano, dopo averli ascoltati rapiti per ore, restano un po’ così, con un’ombra di inquietudine sul cuore. Perché, forse, in un mondo in cui le menzogne vengono spacciate per apodittiche verità, non si è più abituati ad avere dubbi.

Di certo, non capita tutti i giorni di assistere ad un dibattito grandioso, com’è stato quello di sabato scorso, dal titolo “Con dignità, fino alla fine?”, tenutosi al Traetta nell’ambito dell’interessante e variegato Festival del Diritto in Piazza, organizzato dall’associazione Sapere Aude.

Dunque, su quel fascinoso impiantito, il pm barese Michele Ruggiero, con consueta, certosina competenza, ha dato l’acconcia architettura giuridica al delicatissimo argomento. Il Vescovo di Cassano allo Jonio, Mons. Francesco Savino, ha sviscerato il tema entrando nell’anima delle parole, che- incredibile dictu, specie di questi tempi in cui regnano sciupio e oblio d’esse – dicono ancora un pensiero, un sentire: “Alcuni decreti negli ultimi anni hanno visto me come vescovo appellarmi o all’obiezione di coscienza o alla disobbedienza civile. Dobbiamo riscoprire la bellezza di dire ‘non ci sto’. Faccio un discorso laico, non dobbiamo rinunciare alla regione. In questo primo scorcio di millennio stiamo vivendo il transumanesimo e il transcristianesimo. Si va verso il dare all’intelligenza artificiale una serie di compiti. Legge 38 del 2010 sulle cure palliative è ancora oggi troppo disattesa. Dobbiamo tornare a dialogare, ma senza appartenenze ideologiche. Oggi si va affermando l’ideologia del pensiero imperialistico unico, omologato e omologante. Io immagino il cuore pensante o l’intelligenza emotiva di Englaro nel dilemma tra l’amore assoluto che aveva per Eluana e la decisione di dire che sua figlia non dovrebbe stare più in quella gabbia che è diventato il suo corpo. Io di fronte a queste situazioni di frontiera non sono capace di fare affermazioni apodittiche o dogmatiche, ma mi limito a fare delle domande. Davanti alla malattia terminale esistono solo quelle. Dovremmo porci oggi grandi domande di senso e significato, sempre orientate alla persona“.

L’uomo di Chiesa, abitato agostinianamente e kantianamente dai perché, ha osservato con malinconia: “Poi, che amarezza come cittadino Italiano vedere il Parlamento silente per 12 mesi su queste grandi questioni. Se i giudici devono essere supplenti, la nostra democrazia è molto debole. Di fronte alla povertà della politica, è ovvio che la Corte si sia dovuta esprimere. Ma attenzione: c’è solo un comunicato stampa per ora, non una sentenza. Non si parla di eutanasia, ma di agevolazione al suicidio, e pone tre condizioni molto specifiche e limitanti“.

Beppino Englaro, orgoglioso padre della stupenda Eluana morta dopo 17 anni di coma, ha raccontato la sua, la loro vicenda: “La nostra è una storia della forza della semplicità. Eluana nel 1992 è entrata subito in coma dopo un grave incidente, ma già aveva visto la rianimazione in seguito all’incidente di un suo amico, Alessandro. Era molto forte, determinata, sapeva bene cosa voleva dalla sua vita. Era un puro sangue della libertà, per lei le cose erano o bianche o nere. La prima a parlare con i medici fu una sua amica di scuola, lei la prima cosa che si chiese di cosa avrebbe voluto Eluana in questa situazione. E la risposta fu chiara, era quella di terminare tutto lì. Leggendo Sciascia ho capito che ad un certo punto non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire l’ultima speranza. Gli abbiamo chiesto lo stato dell’arte della medicina nello specifico della situazione di Eluana e ci disse “Di poco superiore allo zero”. Rivendicavamo il dialogo, la possibilità di scegliere cosa fare. Le hanno offerto le migliori cure, ma hanno avuto anche il peggior risultato. Ci siamo rivolti a tutti in quattro anni e sembravamo due randagi che abbaiavano alla luna. Una prima risposta è arrivata otto anni dopo con l’idratazione e l’alimentazione forzata e per la prima volta, grazie ai giornali, si è parlato della nostra situazione. Solo cadendoci dentro, abbiamo compreso cosa significava e le risposte le abbiamo avute dalla Corte di Cassazione“.

I concetti in ballo sono alti, altissimi: dignità e libertà. Sentiamo Beppino: “Nessuno può decidere al posto nostro, l’autodeterminazione di Eluana non aveva nulla a che fare con l’eutanasia. Il medico doveva dialogare, e per saperlo ci abbiamo messo 15 anni. Per sentirci dire qualcosa di già costituzionalmente scritto. Noi genitori che avevamo avuto una perla così rara come Eluana, non potevamo non rispettare le sue volontà, i suoi desideri”.

Sì, insomma, la questione, pur trattando di bios e thanatos, umanissimi elementi, sembra più grande di noi. E fa specie notare come i nostri politici spicchino per la loro tendenza a decidere di non decidere, campioni essendo della irresponsabilità, in tanti troppi campi.

A noi sia concessa solo una piccola riflessione a margine, opinabilissima ovviamente.

Si è parlato di fine vita e del rapporto con le norme, ma l’enorme non lo considera mai nessuno? Sì, c’è qualcosa che ci sfugge.

Non penso che il nostro corpo sia solo sarcina mortale. E se fosse scrigno di un nescio quid che non sappiano spiegare?

Quando sentiamo tremare il cuore, perché non riusciamo a fermarlo?

E quando sdrucciola giù una lacrima sul volto, perché non basta il dorso di una mano ad asciugarla?

Perché Eluana era ancora lì, nel breve cielo della platea, e sorrideva come un angelo, l’altra sera?

Perché, al termine di quel fiume di parole, dolenti e lucenti insieme, chi è uscito dal teatro non riusciva a levare lo sguardo in alto lassù? Perché?

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