di Angelo Palmieri, sociologo
La Fondazione “Giovanni XXIII” ha compiuto un gesto che non è solo simbolico, ma profondamente umano: la nascita della “Stanza sensoriale”.
È un altrove sensibile, sospeso e lieve, una soglia tra il visibile e l’invisibile.
Uno spazio in cui le sensibilità corporee, troppo spesso relegate ai margini delle cure tradizionali, tornano protagoniste di una comunicazione intima, arcaica, quasi sacra.
Qui non si entra: si viene accolti. Si varca una frontiera intima dove la luce accarezza, i suoni sfiorano, i profumi evocano e le vibrazioni tattili parlano con voce muta a chi ha smarrito le parole ma non la capacità di sentire.
Tutto è presenza, tutto è ascolto.
La filosofia Snoezelen, che plasma questo ambiente, diventa gesto incarnato, dichiarazione sociale, atto poetico.
Il corpo è restituito alla sua centralità: non più oggetto di assistenza, ma tessuto vivo di relazione.
La città, con discrezione, si fa grembo e abbraccio per chi vive la vulnerabilità non come limite, ma come lingua altra da imparare.
Non è solo un progetto: è un’affermazione civile. Destinare i fondi del 5 per mille a un’opera che non genera profitto, ma bellezza, sollievo e dignità, significa restituire alla parola cura la sua intensità sorgiva: avere a cuore, custodire, accadere come carezza.
Chi abita questo spazio, con questo atto, si interroga e risponde: quale soglia sensibile riserviamo alla fragilità nell’urbanità contemporanea?
Quale posto diamo a chi non può più nominare il proprio nome, ma lo custodisce ancora nel gesto, nello sguardo, nel battito?
La Stanza sensoriale è una piccola utopia concreta: un laboratorio silenzioso di umanesimo incarnato, dove la tenerezza ferita ritrova dignità.
È una dimora che restituisce cittadinanza a chi rischiava, e ancora rischia, l’esilio dell’oblio, offrendo voce a chi troppo spesso è rimasto nelle zone d’ombra del racconto collettivo.
In un tempo dominato dall’efficienza e dall’incalzare dei giorni, questa presenza lieve è una rivoluzione gentile.
Parla di una comunità che ha scelto di non temere la quiete del tempo, l’apparente inutilità, il vuoto che si fa risonanza.
In un mondo che riduce ogni cosa a performance, chi abita questa interiorità condivisa racconta un’altra pagina: quella di un’umanità che si inchina accanto al dolore, non per compatirlo da lontano, ma per custodirlo insieme, passo dopo passo.
Che questa traiettoria non si interrompa. Perché il sociale, quando si fa carne e respiro, è ancora il primo luogo dove si può, davvero, abitare la speranza.
Con la Stanza sensoriale, la Fondazione “Giovanni XXIII” restituisce al prendersi cura la sua natura più autentica: civile, poetica, comunitaria.