Nelle ultime 48 ore, l’agenda politica italiana è stata incentrata su un solo nome: Pasquale Tridico, numero 1 dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, e sul suo stipendio diventato “pesante”.
La notizia ormai è nota. Grazie (o a causa, a voi la scelta) a precise decisioni governative, quello gialloverde prima e giallorosso poi, il presidente di INPS non guadagnerà più 62mila euro (lordi) l’anno, bensì 150mila (lordi), e questo a partire da aprile, e cioè dal momento di insediamento del nuovo Consiglio di amministrazione dell’Istituto di via Ciro il Grande.
Le reazioni sono state molteplici. Da un lato delle istituzioni politiche, che facendo finta di non sapere nulla e di scendere dalle nuvole, hanno chiesto le dimissioni di Tridico, invitandolo prima però a pagare ancora tutti coloro – secondo alcuni quotidiani siamo davanti a una platea di 500mila persone – che attendono la Cassa integrazione o una qualsiasi indennità covid 19.
Dall’altro dell’opinione pubblica, sdegnata dal fatto che questo aumento sia arrivato in un momento sociale ed economico particolarmente difficile per il Paese, sia per chi ha la fortuna di avere un lavoro o chi spera di trovarlo.
In realtà, senza entrare in polemica, sarebbero due le cose che andrebbero sottolineate.
La prima è che questa lievitazione di stipendi è stata possibile per la profonda spending review attuata da INPS proprio con l’insediamento del nuovo presidente, che però avrebbe provocato disservizi agli utenti (che però, è bene dirlo, sono anche provvisti di Pin e Spid, almeno la maggior parte di loro) e tagli soprattutto ai servizi di corrispondenza.
La seconda è un auspicio. Una speranza. Questa: l’Istituto non si dimentichi di coloro che, ogni giorno, lavorano con passione, sacrificio, professionalità e impegno al numero verde rispondendo a centinaia di migliaia di chiamate su disoccupazione, invalidità civile, bonus vari, pensioni, assegni familiari, reddito di cittadinanza, e tanto altro, cercando di gestire, nel modo migliore possibile, una materia vasta e complessa come quella del sistema sociale, dove leggi, circolari e regolamenti cambiano ogni giorno.
Anzi, a dire la verità, è stato proprio Tridico a elogiare pubblicamente gli operatori telefonici del Contact Center (circa 3mila in tutto lo Stivale) non più tardi di un anno fa, quando si era nel bel mezzo del cambio di appalto. “I nostri operatori di call center sono molto specializzati – ha spiegato – svolgono mansioni tipiche da funzionari, rispondono a utenti che chiedono pensioni, prestazioni, invalidità, cose non facilissime che hanno bisogno anche di una formazione continua e aggiornamento rispetto alle normative. Avere i propri operatori interni all’Istituto, a parità di risorse – ha detto ancora – è a mio parere una maggiore garanzia per i lavoratori ma anche per l’Istituto, perchè possiamo contare su un gruppo di operatori che possiamo continuamente formare in base anche alle esigenze e che potrebbero anche essere utilizzati per altre attività pubbliche, penso ad esempio ai servizi che possono fare per l’Agenzia delle Entrate, che sono simili, e per altre amministrazioni pubbliche”.
E non è tutto, perché, non più tardi di aprile, lo stesso numero 1 sottolineava come internalizzare il servizio sarebbe una priorità, in quanto “i nostri operatori telefonici, non sono nostri dipendenti diretti: stiamo cercando di ovviare a questo problema e alla scadenza del contratto in essere, tra due anni, potremo finalmente internalizzare questi operatori, la cui presenza sarebbe stata sicuramente utile durante l’emergenza”.
Se tutto ciò è vero, allora, e in attesa che ciò avvenga (la scadenza dovrebbe essere agosto 2021, ma sarebbe rinnovabile di un altro anno da bando), perché non iniziare a rivedere il costo del lavoro impegnato e impiegato per i consulenti telefonici, che devono “accontentarsi”, a seconda delle ore contrattuali, ore supplementari e straordinari, di uno stipendio che oscilla tra i 600 e i 1.200 euro?
In tempi difficilissimi per tutti, sarebbe un segnale non di poca importanza.