E’ un giorno qualunque d’inizio autunno.
Nel buio della notte, lampeggiano le luci azzurre delle auto della Polizia, parcheggiate in fila, a ridosso del passaggio a livello che conduce a Santo Spirito.
Poco più in là, spiccano le luci rosse di un treno immobile sui binari in direzione Bari.
È durato poco più di tre minuti il viaggio di quel convoglio, il tempo intercorso fra la partenza dalla stazione Medici e l’impatto improvviso e tragico con quella figura sbucata da chissà dove, dall’oscurità.
Già, quella figura.
Bitontini, in bilico sul muretto, cercano di aguzzare la vista per riconoscere qualcosa o qualcuno lì.
Una scarpa, tra i ciottoli bianchi.
Poi, dall’altra parte dei binari, un telo nero ricopre un cucciolo d’uomo.
Nessuno può avvicinarsi a quel corpo senza più vita.
Come se si cercasse di allontanare quel segreto dolore.
Le persone accorrono più strette da un sinistro presagio nel petto che da una voglia di intrufolarsi nella vita – che ora è morte – altrui.
Per lunghi e squassanti minuti la scena resta ferma così.
Pare serva per non modificare la situazione iniziale del drammatico episodio. Ma è di una crudeltà assoluta.
Si inseguono, frattanto, le versioni più disparate (e disperate).
A noi interesserà l’ultima, quella definitiva e possibilmente più vera.
Ma, adesso, non resta che chiederci: perché?
Com’è possibile che un piccolo fiore senta il cielo cancellarsi dentro?
Cosa ha spinto un bambino a sopire il vagito della sua vita? E noi cosiddetti grandi cosa facciamo per evitare che loro, i piccoli, si smarriscano in un abisso di solitudine?
Dalle foto su facebook sorride ancora, dietro grandi occhiali simpatici.
Tutti lo definiscono “buonissimo” e ti chiedi se non sia una invisibile colpa, questa, nel tempo in cui siamo tutti tristemente incattiviti e ferocemente cinici.
Qualcuno lo chiama già “angelo”, ma, forse, il suo fragile respiro s’è perduto nel vento della sera e, su quel ruvido selciato, è rimasto un grumo di sogni.
Muto per sempre…