Quando il treno con un sibilo esala l’ultimo sferraglio, la donna ci sale che è già presa da un’animata discussione al cell.
Caschetto castano, maglietta bianchissima e pantaloncini beige, parla con rabbia e piange. Si vede che le sue gote sono levigate da lacrime antiche.
Poi, di scatto chiude la chiamata e si raggomitola su uno di quegli sgabelli che sbucano accanto alla porta del vagone.
In un attimo, a capo chino, si perde nel labirinto dei suoi affanni.
Una vecchietta, capelli d’argento, occhiali grandi grandi, vestita un po’ come capita tutta di nero, seduta nel primo scompartimento a quattro, la nota. Aggrotta un poco la fronte e pare che cominci un breve, silenzioso soliloquio.
Qualche minuto dopo, vince l’esitazione, si alza, va incontro alla donna e la invita ad accomodarsi di fronte a lei.
Confusa, si lascia docilmente persuadere.
Il dialogo intreccia parole morbide come balsamo ed altre dure come pietre. Si parla di dolori che tutti hanno dentro, di mariti che fanno del male e di figli che soffrono.
La voce metallica della Bari nord annuncia l’arrivo a destinazione per la donna.
Si levano all’unisono per il saluto. Si abbracciano forte forte. La donna prende a singhiozzare facendo sobbalzare la vecchietta. E sembrano un cuore solo che palpita.
Quel viaggio fatto d’amore è durato un quarto d’ora lungo un’eternità.
La donna va via sotto un cielo musone e col dorso della mano asciuga piano gli occhi feriti.
La vecchietta dal finestrino ancora la carezza dolcemente con lo sguardo…