di MICHELA RUBINO – “Vi racconto mio padre, Paolo Borsellino“. Non solo un omaggio, ma un vero atto d’amore e di memoria viva, un richiamo potente e necessario a ciò che significa giustizia, umanità e responsabilità. Si può riassumere così l’incontro avvenuto tra Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo, e gli studenti del liceo “Sylos”, all’interno della sala degli specchi del Comune di Bitonto.
Il momento è stato organizzato dalla dirigente e dai docenti per consentire ai ragazzi di incontrare, nell’ambito di un percorso volto alla legalità, una testimone vivente della nostra storia, della lotta alla mafia. Sono stati gli studenti, infatti, a condurre ogni momento con la delicatezza e l’intensità che Borsellino meritava. “Conoscere la storia di Borsellino, che si intreccia con la storia d’Italia, significa avere l’opportunità di crescere consapevolmente“, ha detto la dirigente, presentando Fiammetta Borsellino e invitando i ragazzi a fare tesoro delle parole e della testimonianza di questa mattinata.
Il giudice Borsellino, studiato attraverso i libri, era oggi più vicino, raccontato dal cuore e dalla voce della figlia. Fiammetta, nel ritrarre intimamente e umanamente un padre che amava la sua terra e un eroe nazionale che lottava per la giustizia, non ha nascosto la dolcezza né la nostalgia, trasmettendo l’affetto per colui che, con il suo lavoro, ha saputo toccare il cuore di chiunque incontrasse. Ha parlato di come Paolo, già da giovanissimo, dovette assumere grandi responsabilità, sacrificando l’adolescenza per sostenere la sua famiglia, rimasta orfana del padre. È cresciuto in fretta, eppure ha sempre mantenuto una naturalezza e un’umanità contagiose. Anche quando era già un noto magistrato, amava scherzare, come un ragazzo che non ha mai potuto essere: si concedeva piccoli momenti di libertà, girando in motorino o insegnando parolacce ai bambini, per sdrammatizzare e dare un assaggio di normalità in una vita segnata da grandi pericoli.
Portava avanti la sua missione di magistrato con dedizione e una profonda umanità. Paolo Borsellino non si limitava a cercare giustizia nei tribunali, ma desiderava ispirare un cambiamento nelle vite dei criminali. “Non si nasce mafiosi, ma lo si diventa per mancanza di altri modelli”, ha sottolineato Fiammetta, ricordando come suo padre riuscisse a instaurare rapporti di fiducia persino con chi si trovava dall’altra parte della legge, avvicinandoli a un percorso di redenzione. Ogni volta che riusciva a ottenere una confessione, una collaborazione, non era solo un successo giudiziario, ma un trionfo dell’umanità sul cinismo e la violenza. “Lui non ha mai visto nei mafiosi dei nemici”, ha dichiarato Fiammetta con un sorriso velato di malinconia, “ma uomini che, se avessero avuto una scelta diversa, forse sarebbero stati persone migliori”.
Nella vita quotidiana, Paolo portava a casa storie umane che affascinavano i suoi figli. Per loro, l’amore per la cura degli altri e il desiderio di cambiare in meglio la società sono stati esempi fondamentali che li hanno aiutati a non cedere alla paura. Nonostante le limitazioni imposte dalla scorta e dal rischio, i figli sono cresciuti liberi, consapevoli che il lavoro del padre era anche un’eredità di responsabilità. Quando Paolo venne ucciso, avevano all’incirca diciannove anni e, grazie a ciò che avevano appreso da lui, riuscirono a trasformare il loro dolore in una forza costruttiva.
Non hanno mai sentito di dover essere “figli di Borsellino” agli occhi del mondo, ma hanno costruito la propria identità senza la pressione di seguire necessariamente le orme paterne. Questo li ha protetti dal ruolo che spesso la società tende a imporre a chi subisce una tragedia pubblica, evitando la spettacolarizzazione del dolore. Fiammetta ricorda con ammirazione come sua sorella maggiore Lucia, a due settimane dalla morte del padre, abbia avuto il coraggio di sostenere l’ultimo esame per la laurea in Farmacia, dimostrando la forza e la tenacia che Paolo aveva sempre insegnato loro. I tre figli avevano compreso che, per sentire vivo il padre, avrebbero dovuto proseguire gli studi e porre delle basi per l’autonomia personale e professionale. Infatti, Borsellino e il suo amico Giovanni Falcone credevano fortemente nella cultura come prima difesa contro la mafia e dedicavano tempo alle scuole, convinti che la conoscenza fosse fondamentale per rendere i giovani cittadini consapevoli. Per combattere la mafia, bisogna conoscerla e riconoscerla. La scuola, secondo loro, è il luogo dove si costruisce quella forza che permette di dire “no” con fermezza ai falsi vantaggi e alle promesse illusorie della criminalità organizzata.
Nell’atmosfera che si è creata, anche il sindaco di Bitonto, Francesco Paolo Ricci, ha voluto condividere la sua riflessione sulla parola “legalità”, che spesso rischia di diventare solo una formula, e ha spronato le nuove generazioni a essere anche il presente, non solo il futuro: “Corresponsabilizzarci è il solo modo per cambiare la società”.
L’incontro ha toccato l’apice dell’emozione con un filmato creato dagli studenti, una raccolta di immagini di Borsellino con la sua famiglia e accanto al suo collega Falcone, sulle note intense de “La Storia” di Francesco De Gregori.
A chiusura dell’evento, un ragazzo ha preso la parola e, con voce ferma, ha condiviso il suo messaggio di gratitudine: “Le sue parole ci hanno insegnato quanto sia importante continuare a battersi per la giustizia e come il silenzio e l’indifferenza possano essere complici di ingiustizia profonda. La memoria è una responsabilità che appartiene a ciascuno di noi: ricordare non significa celebrare il passato ma vuol dire impegnarsi per il futuro. Non basta limitarsi a parlare di legalità: è necessario agire, lavorare insieme, giorno dopo giorno, per costruire una società più giusta, dove i giovani possano vivere senza paura e con il sogno di un domani migliore. Facciamo una promessa non solo a lei e alla sua famiglia, ma soprattutto a noi stessi: continueremo a raccontare e a onorare chi ha lottato per i valori di giustizia e libertà. Faremo in modo che le generazioni future non solo conoscano la storia, ma ne comprendano la lezione”.
Oggi, Fiammetta, con grande rispetto per ogni forma di dolore, ha scelto di raccontare la storia di suo padre a chi, in quegli anni, non era nemmeno nato, consapevole che parlare di lui è una vittoria della vita sulla morte. Essere tra giovani che ascoltano e fanno propria questa storia significa far vivere Paolo ancora una volta.