Competenza. Responsabilità. Emotività. E indignazione. L’educazione si trasforma, muta, si modifica in base alle esigenze della scuola, ormai misurabile in crocette, tabelle, assenze e distanze.
E’ bravo, ma potrebbe fare di più – ha le capacità, ma non le sfrutta il nuovo libro del giornalista Giancarlo Visitilli, edito da Progedit, un titolo che ritorna come un ritornello da generazioni e che riflette ormai l’essenza stessa della scuola italiana, una istituzione che procede così, con le capacità che stenta a far fruttare.
L’autore traduce la messa in scena dell’insegnamento e sottolinea come le pratiche educative si scontrino con “l’indisponibilità degli adulti – per dirla con le parole di Crepet, citato da Visitilli, – a farsi carico dell’inquietudine adolescenziale” dunque un combattimento ideologico tra pratiche di pensiero scolastico e inadeguatezza familiare.
Visitilli parte da una riflessione sulla condizione della scuola ai tempi del Covid, una scuola della lontananza, della semplificazione, delle disuguaglianze sociali, davanti alla quale nessuno sembra essere turbato. È questo il modo di intendere la scuola, come se “stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata” (Italo Calvino), flussi di informazioni senza peso, senza la deviazione dell’opinione, del pensiero critico, della riflessione, del farsi pratica, dell’iscrizione nel mondo attraverso la parola. La penna sottile dell’autore ci mostra una carrellata di volti genitoriali accomunati dal desiderio di non far mancare niente ai propri figli, ma che in realtà non offrono la loro presenza affettiva. Visitilli diventa pungente ma esatto quando analizza la responsabilità dei genitori che non educano né all’autonomia, né all’autostima, né alla creatività, ma favoriscono i figli verso il bullismo o il disadattamento alla vita: si giustificano dietro la facilità di un “non so più che fare con mio figlio”.
“La scuola – scrive il giornalista – è il luogo per eccellenza dove l’esistenza quotidiana deve essere riproposta e trasformata in problema” perché gli studenti possano trovare soluzioni, possano confrontarsi, scontrarsi, vivere, diventare, come in un ring; lottare per rimanere in piedi, per allenarsi alla vita, senza paracadute e senza scuse per gli atterraggi bruschi. I genitori dovrebbero dare meno risposte, spianare meno la strada e spegnere meno fuochi, perché “L’insegnamento – per usare l’espressione del poeta William Butler Yeats – non consiste nel riempire secchi ma nell’accendere fuochi”. Una proiezione di suggerimenti trasversali, il saggio di Visitilli, un suggerimento sapientemente costruito soprattutto per le famiglie; un invito ad affidare i figli ai professori e a saperli perdere, così che possano sbagliare, pensare, scegliere da soli.
Il rapporto empatico che si costruisce a scuola rende l’alunno in grado di superare il disagio del ‘non riuscire’ o ‘non sapere fare’ o ‘poter fare di più’; gli consente di sviluppare le competenze emotive di autoconsapevolezza e autorealizzazione, lo rendono un viaggiatore-lettore in grado di essere un nomade tra le righe, un girovago tra pagine di storia e letteratura, un flâneur della carta, un pescatore di perle nella rete.
Tra-vestirsi di regole diventerà la libertà nelle strade del mondo. C’è una specie di pelle intorno alle parole che è una sorta di ordito e di trama di una stessa bellezza. Una bellezza “che attinge dalle varie discipline e si fa sapienza, cultura, vita”.(nda)
Rimane il fatto che insegnare sia una pratica di traduzione, un’esperienza che traccia come una costellazione il presente indicativo degli alunni, con la testa vuota pronta ad apprendere, la mente aperta e i passi fermi su una direzione.
Lara Carbonara