«Sulla vicenda di Alessandro
non ci sono novità. L’unica cosa sicura è che le indagini necessitano di
tempo».
Luigi Ventola,
l’avvocato della famiglia Simone, non ha dubbi. Per conoscere la verità sulla
morte del 28enne bitontino che si è tolto la vita nel carcere di Bari il 28
maggio scorso, bisognerà aspettare. C’è una perizia tossicologica da fare.
Già, perché come
segnalato in esclusiva poco meno di un mese fa (http://www.dabitonto.com/cronaca/r/bitontino-morto-suicida-in-carcere-ancora-troppe-ombre-sul-decesso-avviate-due-inchieste/3471.htm), la famiglia di
Alessandro vuole chiarezza su quanto è successo quel maledetto pomeriggio di 40
giorni fa. E vuole sapere cosa (o forse anche chi?) ha spinto il proprio figlio
a impiccarsi in bagno con una cordicella nera.
Sono due le indagini in
corso. Una interna, che intende capire cosa non abbia funzionato nella sorveglianza
h24 alla quale era sottoposto Alessandro, e l’altra della procura, che ha messo
come prima ipotesi di reato quella di istigazione o aiuto al suicidio.
Nonostante l’autopsia abbia escluso la presenza di lesioni e violenze esterne
sul corpo di Alessandro.
Ma al pubblico ministero
la famiglia Simone ha chiesto e ottenuto una perizia tossicologica, per capire
se e come gli psicofarmaci che il giovane assumeva in carcere piuttosto che aiutarlo
lo avrebbero indebolito e portato eventualmente ad atti autolesionistici.
«Purtroppo per la
perizia ci vuole tempo – sottolinea Ventola – e perciò le indagini avranno tempi più
lunghi. Bisogna soltanto aspettare».