Una gentile lettrice ci chiede di
trattare questa settimana un argomento molto delicato che sempre più spesso,
purtroppo, balza agli onori della cronaca.
Il tema e’ quello dello stalking
oppure, per dirla con il nostro codice penale, degli atti persecutori. L’art.
612 bis c.p., introdotto con il Decreto Legge 23/02/2009 n. 11, e’ appunto così
rubricato e prevede che: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è
punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte
reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave
stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per
l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata
da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie
abitudini di vita».
Il riferimento e la definizione
normativa individuano quella serie di comportamenti che vengono posti in essere
dagli “stalker” (letteralmente quelli che cacciano di nascosto, che
“fanno la posta”) nei confronti della vittima e le conseguenze
dannose provocate.
Nella definizione data da Nicky
Persico nel suo libro “Spaghetti paradiso” (edito da
Baldini&Castoldi) che racconta, appunto, la storia di due vittime di questo
orribile reato lo stalking e’: “solo
una delle manifestazioni oppressive oggi inquadrate, messe in atto da uno o più
soggetti (in questo caso gang-stalking) verso un’altra persona, in grado di
provocare danni notevoli nella vittima, che si traducono, in estrema sintesi,
in un interessamento di tutte le aree della sua vita, in quanto lo stalking
induce uno stato psicologico negativo pressoché continuo.“
Il reato di stalking e’ un reato
abituale e si caratterizza per essere commesso dall’autore attraverso
“condotte reiterate” violente e minacciose tali da cagionare nella
vittima un “perdurante e grave stato di ansia e di paura” oppure
ingenerare un “fondato timore” per l’incolumità’ propria o di un
prossimo congiunto o di una persona legata da relazione affettiva ovvero da
costringere la vittima medesima ad “alterare le proprie abitudini di
vita”.
Il nesso di abitualità delle
condotte violente e minacciose e’ elemento essenziale per la sussistenza del
reato di atti persecutori, pur essendosi due distinti orientamenti
giurisprudenziali differenti che richiedono, l’uno il dato quantitativo delle
condotte, l’altro il dato qualitativo.
Una novità introdotta dalla
formulazione dell’art. 612 bis ha a che fare con la procedibilità dell’azione
penale.
La norma prevede che si proceda a
carico dell’agente a querela della persona offesa alla quale è concesso un
termine di sei mesi per la presentazione dell’atto che decorrono, trattandosi
di delitto abituale, dal compimento dell’ultimo atto posto che integra la
condotta posta in essere dell’agente.
Si procede, però, di ufficio se la
persona offesa e’ un minore degli anni diciotto oppure una persona con
disabilità oppure se il reato e’ connesso ad altro per il quale si procede di
ufficio.
La novità consiste nella possibilità
che la persona offesa ha di esporre i fatti di cui è vittima all’autorità di
pubblica sicurezza, prima di presentare la querela, e di richiedere al questore
l’ammonimento dell’autore della condotta.
Si innesca così un meccanismo, del
tutto inedito nel nostro ordinamento, che porta una immediata attivazione delle
pubbliche autorità che trasmettono al questore, senza ritardo, i risultati
dell’attività investigativa e delle informazioni assunte dalle persone che sono
a conoscenza dei fatti.
Se il questore ritiene fondata l’istanza
presentata dalla vittima, convoca dinanzi a sé il soggetto autore delle
condotte e lo ammonisce circa le conseguenze penali cui va incontro nel caso di
perseveranza di analoghe condotte criminose e lo ammonisce, perciò a desistere
e a tenere un comportamento conforme alla legge.
Nel caso in cui l’ammonimento non
sortisca l’effetto sperato ed il soggetto ammonito continua nel proprio
intento, la procedibilità sarà d’ufficio.
Gli esperti in materia considerano
quello dell’ammonimento come uno strumento molto importante ed efficace che le
vittime hanno a disposizione per prendere cognizione della gravità e della
possibile pericolosità della situazione in cui si trovano e ne stimolano
l’utilizzo immediato anche per la possibilità che il soggetto desista dai
propri intenti dopo la convocazione dinanzi al questore.
Nel brevissimo arco temporale di
introduzione dell’art. 612 bis c.p., numerose sentenze pronunciate dai giudici,
di merito come di legittimità, hanno contribuito a tratteggiare le linee
caratterizzanti del reato di atti persecutori.
Ad esempio, la Suprema Corte di
Cassazione, con la decisione del 9 maggio 2012, n. 24135, ha precisato che in
tema di atti persecutori, la prova dello stato d’ansia o di paura denunciato
dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti
tenuti dall’agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona
comune tale effetto destabilizzante.
Sempre la Corte, nel 2011 (sentenza
n. 8832 del 7 marzo) ha evidenziato che è configurabile il delitto di stalking
di cui all’art. 612 bis c.p. quando il comportamento minaccioso o molesto di
taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato un grave e
perdurante stato di turbamento emotivo, essendo sufficiente che gli atti ritenuti
persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell’equilìbrio
psicologico della vittima. (Tale evento destabilizzante è stato ritenuto
sussistente dalla Corte in una fattispecie relativa a ripetuti atti di
danneggiamento non rivolti contro l’incolumità fisica della vittima, bensì
verso beni di proprietà della medesima).
Ancora nel 2011, con la sentenza del
26 luglio, n. 29762, i giudici di legittimità hanno stabilito che il delitto di
atti persecutori cosiddetto “stalking” (art. 612 bis c.p.) è un reato
che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea
ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il
mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che
la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di
timore per la propria incolumità.
Ancora la Corte di Cassazione,
sezione V penale, con la decisione del 15 maggio 2013, n. 20993 ha evidenziato
che al fine di configurare il reato di cui all’articolo 612 bis non occorre una
rappresentazione anticipata del risultato finale, bensì la costante
consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti
attacchi e dell’apporto che ognuno di essi arreca all’interesse protetto,
insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata
della persona offesa.
Lo stalking e gli atti persecutori
costituiscono spesso, troppo spesso, i campanelli di allarme di situazioni ben
più gravi e potenzialmente lesive per l’incolumità delle vittime. La cronaca di
ogni giorno porta, purtroppo, conferma di questo e lascia sempre troppo
irrisolta la domanda sul “si poteva evitare?”.
È per questa ragione che gli addetti
ai lavori, gli operatori delle associazioni a sostegno delle vittime di questo
tipo di reati invitano a non esitare a denunciare e a rivolgersi a chi può
concretamente essere un aiuto per chi vive un momento di estrema difficoltà
fisico e psichica.
Perché
ci si possa sempre meno porre quella drammatica domanda.