Conosco Gianni (nome di fantasia) dai tempi della scuola media. Di quella trincea di periferia che era la “Rogadeo”, quando i ragazzi, persino quelli più scapestrati, diventavano uomini sotto la guida di docenti che somigliavano ad impavide guide spirituali. Gianni non era destinato al premio Nobel, certo, ma si impegnava con giusto zelo e, soprattutto, era educatissimo. Amava il calcio, come tanti di noi, e s’apprestava a diventare una persona perbene. Il lavoro trovato subito come ambulante, sulla scia dell’esempio del papà. Sveglia in ore antelucane e via sull’auto a macinare chilometri e chilometri di asfalto. Soddisfazioni, però, tante. Ed anche un certo benessere. “Finché non arrivò l’euro e non iniziarono ad aprire i cinesi ed il mercato è crollato”, ricorda con una smorfia di amarezza sul volto. Ed è lì che inizia il calvario. “Ho visto l’inferno, ci sono entrato ed ho temuto di non uscirne più. Restavo sempre in casa perché non aveva più senso andare in giro per fiere. Non avevo la forza di guardare negli occhi i miei piccoli e mia moglie. La mensa della Basilica ci faceva vivere. Son finito persino nel vortice degli antidepressivi. Terribile”, racconta con dolore ed un groviglio di emozioni si fa groppo ed incrina un poco la voce. “Non ti nascondo che, ad un certo punto, ho pensato di farla finita. Poi, all’improvviso, ho conosciuto un signore di Bari, che non smetterò mai di ringraziare. Mi introdusse nel mondo delle pulizie di aziende e condomini, finché non mi sono messo per conto mio ed ora ho un’impresa tutta mia”. “Sì, si può rivedere la luce dopo aver attraversato le tenebre” e, così, la riflessione finale ce la regala lo stesso Gianni….