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Home » Omicidio Tarantino, tutto quello che c’è da sapere. All’origine di tutto, il “ferro”: da rubare e da usare per uccidere

Omicidio Tarantino, tutto quello che c’è da sapere. All’origine di tutto, il “ferro”: da rubare e da usare per uccidere

Viaggio in due tappe nel mondo della malavita bitontina. Ecco la prima puntata

Lucia Maggio by Lucia Maggio
9 Aprile 2018
in Cronaca
Omicidio Tarantino, tutto quello che c’è da sapere. All’origine di tutto, il “ferro”: da rubare e da usare per uccidere
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Molti si chiedono come si sia arrivati allo scontro armato del 30 dicembre in cui ha perso tragicamente la vita la signora Anna Rosa Tarantino.

L’origine dei fatti parte da settembre. E all’origine c’è il ferro. Il ferro in tutti i sensi: il ferro rubato, quello da rubare e che inizia a fumare per intimidire, colpire, ferire e uccidere. Nella logica della città divisa in fette, in parti, in luoghi di spaccio o luoghi di raccolta, va a finire che chi sgarra, chi oltrepassa la linea di demarcazione finisce sicuramente molto male.

A Bitonto gli unici deputati alla raccolta del ferro sono gli uomini del gruppo Cipriano. Intorno al 20 settembre un soggetto che di solito operava per il gruppo criminale sconfinò dalla sua zona protetta e probabilmente finì malmenato da alcuni soggetti del gruppo avverso, legati a Conte.

I Cipriano, allora, vollero vendicarsi e con questo scopo, nella mattinata del 29 settembre, percossero – fino a farlo sanguinare – un uomo di Conte che raccoglieva il ferro in zona Santi Medici. Fu costretto a salire a bordo del suo tre ruote “e gli dissi di seguirmi fino a raggiungere la 167 dove c’erano Liso, Caputo e altri”, spiega Vito Tarullo (che ora è collaboratore di giustizia e fondamentale pedina per le indagini) in un interrogatorio. In quel frangente il soggetto malmenato raccontò l’accaduto e nella concitazione pare che gli aggressori gli avessero intimato “di avvisare che la pace era finita”.

Poco dopo arrivarono delle persone che avvisarono di alcuni spari in direzione della nuova abitazione di Caputo nel centro storico e che “da lì se ne dovevano andare”.

In quel momento Michele Sabba, Vincenzo Caputo e Domenico Liso, con altri due soggetti, “si fecero portare le armi – e mentre aspettavamo per definire la situazione – decidemmo di prendere la mia macchina e fare un giro a caccia dei Cipriano”, riferisce Tarullo.

Alle 9.30 Liso, Caputo e Tarullo arrivano sulla Sp231 in un’area di parcheggio per raggiungere un giovane 25enne incensurato, reo di essere cugino di primo grado de “La zamban” (Giuseppe Pastoressa, del gruppo Cipriano).

Liso e Caputo scendono dall’Opel Astra di Tarullo con volto travisato e fare spavaldo. Mentre si dirigono minacciosamente verso il ragazzo che gli va incontro nel piazzale uno dei due arma la pistola.

Dopo avergli chiesto, retoricamente, “a chi fosse parente”, uno dei due malviventi gli sferra un primo e violento pugno. Entrambi poi entrano all’interno di un container e lo picchiano fino a provocargli la frattura degli incisivi superiori e lo colpiscono più volte con il calcio della pistola. Uno dei due, poi, si scopre il volto dal passamontagna per farsi riconoscere dal giovane e gli dice, in pieno stile mafioso: “Mi hai riconosciuto? Dì a tuo cugino ciò che gli devi dire”.

Il 25enne si reca al Punto di Primo Intervento di Bitonto dove racconta di aver subito un incidente domestico, con il volto completamente coperto di sangue e diverse ferite e contusioni.

Successivamente, alle 13.30, tramite una segnalazione al locale Commissariato si viene a sapere (erroneamente) che in mattinata c’era stata una rapina nella zona in cui c’era stato, in realtà, il pestaggio.

Il 25 ottobre 2017 la reazione della Polizia è immediata: vengono arrestati il 27enne Domenico Liso, il 20enne Damiano Caputo, e il 34enne Vito Antonio Tarullo. I tre, a vario titolo, vengono accusati dei reati di porto illegale di armi in luogo pubblico e lesioni personali aggravate, con l’aggiunta di aver commesso i reati con l’utilizzo del metodo mafioso, a norma dell’art. 7 Leg.203/91 (leggi qui l’articolo con tutti i dettagli: https://bit.ly/2gKBVjh).

Appare dunque già evidente quanto le loro azioni fossero improntate al “metodo mafioso”. Il pestaggio sarà solo l’inizio, infatti, di una serie di atti intimidatori che si concretizzeranno nei giorni immediatamente prima e dopo Natale e che sfoceranno nell’omicidio del 30 dicembre scorso.

Nel frattempo, subito dopo il pestaggio ai danni del cugino di Pastoressa (e quindi prima degli arresti del 25 ottobre), viene aperta una nuova piazza di spaccio nel borgo antico, nella zona detta “del Ponte”, gestita da Michele Sabba, Tarullo, Caputo e Liso. Un luogo controllato “attraverso un sistema di videosorveglianza opportunamente collocato”, poi sequestrato il 17 gennaio.

Per l’occasione è prevista persino una “inaugurazione” con “fuochi d’artificio”, come spiega Tarullo. Ma questa piazza lì non avrebbe dovuto esserci, era di troppo: “Diglielo ai compagni tuoi che da qui ve ne dovete andare!”, fu la minaccia ricevuta.

Siamo alla vigilia di Natale, il 24 dicembre. In via San Luca si verifica un raid armato presso una delle centrali di spaccio dei “Cipriano” in cui vengono esplosi almeno 4 colpi d’arma da fuoco. Il 26 dicembre un uomo vicino al gruppo Conte viene aggredito nelle strade del borgo antico e pare che subisca gravi ferite al volto. Qualche giorno dopo, ci sarebbe stata un’altra sparatoria, un paio di colpi, alla piazza di spaccio “del Ponte”, oggetto della faida.

Il 29 dicembre Cosimo Liso, fratello di Domenico, con cui era da poco passato dal gruppo “Cipriano” a quello di “Conte”, sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di permanenza serale, chiede agli uomini del Commissariato di Pubblica Sicurezza di poter cambiare il suo domicilio per continuare la sua misura cautelare, spostandolo da via Le Martiri a via Pertini, a casa di un altro parente e quindi più vicino al suo nuovo gruppo d’appartenenza.

Il 30 dicembre riferirà di essere preoccupato per la sua incolumità per ciò che era successo durante la mattina e che tre persone travisate lo avevano seguito fino a casa dicendogli “infame pezzo di merda”, sentendo diversi colpi di pistola, senza sapere verso chi fossero diretti. Dichiarazioni, poi, risultate mendaci: le minacce le aveva subite, appunto, già la sera precedente con tanto di “ti spariamo in testa se da qua non te ne vai”.

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