Sembra
la trama di una classica pellicola cinematografica in stile “cinepannettone”,
quanto accaduto la notte del 30 Dicembre 2016 ai danni della struttura con
piste da bowling situata alle porte di Bitonto.
Niente
“Banda dei Babbi Natale”, purtroppo,
ma un vero e proprio commando composto da almeno nove persone, si presume
essere l’autore della rapina fruttata più di sessantamila euro e di cui, ad
oggi, non si conoscono altri dettagli.
La
rapina, pertanto, costituisce ancora una volta il trait d’union tra i maxi incassi natalizi e la criminalità (quasi
sicuramente organizzata).
Annoverata
in seno all’Art. 628 del C.P., costituisce un baluardo del libro dei delitti
contro il patrimonio, nonché uno dei reati, del ridetto libro, con le pene
edittali più pesanti.
L’Art.628
C.P., infatti, sanziona e punisce “chiunque
per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza o
minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene,
è punito con la reclusione da tre a dieci anni”.
Quanto
appena riportato nel primo comma della norma richiamata delinea a chiare
lettere, rispondendo a quel principio di tassatività, tutti gli elementi
indispensabili per la configurazione della fattispecie in oggetto la quale, nel
caso dell’ipotesi aggrava riportata in calce al terzo comma, può comportare una
pena edittale racchiusa tra i quattro anni e sei mesi e i venti anni di
reclusione, come nel caso di chi agisce con il volto travisato, con armi o con
più persone.
Al
pari di tutte le figure di furto, anche la rapina ha quale presupposto l’assenza
di un rapporto di fatto tra l’agente e il bene, in modo che per farlo proprio
il soggetto attivo deve necessariamente procedere alla sottrazione, recidendo
il rapporto di detenzione altrui.
Nonostante
la norma non lo espliciti chiaramente, è opinione consolidata in dottrina e
giurisprudenza che l’oggetto
materiale del reato debba essere
costituito da una “cosa mobile”, in ragione del fatto che soltanto tale res potrà essere oggetto della condotta
sottrattiva.
Si
ritiene che quanto disposto ex Art. 628 C.P., configuri due possibile offese di
cui una di tipo personale e una di tipo patrimoniale, le quali vanno
considerate su di un piano di parità.
Il
fatto costitutivo di rapina, inoltre, consiste nell’impossessarsi della cosa
mobile altrui, sottraendola a chi la detiene con violenza e mediante minaccia
arrecata per entrarvi in possesso, ovvero per assicurare a sé o ad altri
l’impunità.
Tali
elementi risultano comuni sia nel caso di rapina propria che nel caso di rapina
impropria, le quali si differenziano per la fase dell’iter criminis in cui avviene il ricorso al mezzo della violenza:
nel primo caso la violenza e la minaccia costituiscono il mezzo diretto ed immediato per realizzare
la sottrazione, mentre nel secondo servono ad assicurare a sé e ad altri il
possesso e soprattutto l’impunità.
La
violenza alla persona è intesa come energia fisica rivolta contro un soggetto
fino al punto di annullarne o limitarne la capacità della persona offesa dal
reato di autodeterminarsi nei confronti dell’evento e di azione.
La
minaccia, invece, è la prospettazione di un male futuro ed ingiusto il cui
avverarsi dipende dal comportamento dell’agente, il quale è posto in
alternativa all’osservanza di una determinata condotta da parte del soggetto
passivo.
Per
quanto attiene l’aspetto volitivo della figura di reato in esame, appare
opportuno specificare che nel reato di rapina il soggetto agente risponderà a
titolo di dolo generico consistente nella coscienza e volontà di impossessarsi
della cosa mobile altrui, sottraendola al detentore, accompagnate dalla
coscienza e volontà di adoperare a tale scopo violenza e minaccia. E’
necessario, altresì, il dolo specifico rappresentato da una particolare
intenzione: il fine di trarre, per sé o per altri, ingiusto profitto dal bene.
Analogamente
all’ipotesi di furto, anche per la rapina il reato si consuma con l’effettivo
impossessamento del bene da parte del rapinatore.
Sulla
nozione di impossessamento, inoltre, la Suprema Corte di Cassazione ha
puntualizzato che il delitto di rapina si consuma nel momento in cui il bene,
pur rimanendo nella sfera di vigilanza e di dominio della persona offesa, entri
nella disponibilità dell’agente.
In
sostanza, pertanto, la consumazione del reato tende a coincidere con la
semplice sottrazione, essendo stata ottenuta attraverso l’intimidazione del
soggetto passivo che pone la persona offesa in condizione di non reagire prima
e dopo l’esecuzione della condotta criminosa.
In
merito al concorso di persone, inoltre, appare opportuno evidenziare che il
reato di rapina può spesso frazionarsi nel tempo, nello spazio e nelle condotte
dei vari partecipanti all’azione delittuosa.
Si
sostiene correttamente, infatti, che non sia necessario, per aversi concorso,
che un soggetto partecipi a tutte le fasi dell’iter criminis ma che sia sufficiente che un correo compia una parte
con la consapevolezza che altri ne compiranno il seguito.
Questi
sono alcuni dei tratti caratteristici di uno dei reati più socialmente
allarmanti il quale, nonostante l’impegno delle Forze dell’Ordine e delleIstituzioni volte all’attività di contrasto, si manifesta
sempre in forme diverse ma ogni volta nuove, più organizzate e letalmente
efficienti a danno di indifesi cittadini e soprattutto esercenti.