Con il referendum del 2 giugno ’46 gli italiani non decisero solo quale ordinamento dare all’Italia post-fascista, ma anche a chi affidare la stesura della nuova carta costituzionale su cui si sarebbe retto il nuovo stato italiano. Si votò, quindi, per formare l’Assemblea Costituente.
Fu la Democrazia Cristiana che, quel giorno, raggiunse a Bitonto il miglior risultato, con 5749 voti, seguita dal Psiup (2916), dal Pci (2158) e dal Fronte dell’Uomo Qualunque.
L’insediamento e la prima seduta si svolsero già il 25 giugno, 23 giorni dopo il referendum. 556 furono i costituenti, di cui 207 provenienti dalla Democrazia Cristiana, 115 dal Partito Socialista di Unità Proletaria, 104 da quello Comunista, 41 dal Partito Liberale Italiano, 30 dall’Uomo Qualunque, 23 dal Partito Repubblicano, 16 dal Blocco Nazionale della Libertà, 9 dal Partito Democratico del Lavoro, 7 dal Partito d’Azione, 4 dal Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, 2 da Concentrazione Democratica Repubblicana, altri 2 dal Partito Sardo d’Azione e 1 a testa da Partito dei Contadini d’Italia, Movimento Unionista Italiano, Partito Cristiano Sociale, Fronte Democratico Progressista Italiano. L’assemblea, poi, a sua volta, istituì una Commissione per la Costituzione, composta da 75 membri. Il testo costituzionale fu approvato definitivamente il 22 dicembre ’47, con 453 voti favorevoli e 62 contrari. Cinque giorni dopo, la legge fondamentale fu promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, per entrare in vigore il 1 gennaio ‘48.
Fu un grande lavoro, in quanto acceso fu il dibattito sulle idee e sui valori che dovevano ispirare la Carta Costituzionale e tante erano le visioni politiche, culturali e sociali che dovettero confrontarsi. Si confrontarono studiosi ed esponenti da culture anche antitetiche fra loro, come quella cattolica, quella marxista e quella liberale. Antitetiche ma accomunate dall’intento di assicurare un ordinamento democratico.
Del resto, come abbiamo già sottolineato negli appuntamenti precedenti, il dopoguerra italiano si presentò pieno di problemi drammatici, in quanto il paese era uscito lacerato dalla guerra fisicamente e moralmente ed era necessaria una ricostruzione radicale che non poteva prescindere da un lungo lavoro di mediazione, di compromesso (concetto spesso visto con cattivo occhio da chi non comprende che la politica necessariamente e fortunatamente lo è) tra tutte le forze che avevano combattuto il fascismo. Furono esclusi, ovviamente, gli eredi del Partito Nazionale Fascista che, qualche mese dopo, nel dicembre ’46 si riuniranno nel Movimento Sociale Italiano. Nonostante la XII disposizione della futura Costituzione vietasse la ricostituzione del Pnf, gli eredi di quella tradizione poterono comunque riconoscersi in una nuova formazione, soprattutto dopo l’Amnistia Togliatti, promulgata il 22 giugno ’46 con lo scopo della pacificazione nazionale dopo anni di guerra civile sanguinosa. Fu un provvedimento non facile che suscitò non poche divisioni, soprattutto tra gli ex partigiani e nel fronte comunista. Forti, infatti, erano le volontà di vendetta. Il Msi continuerà a fare attività politica in Parlamento, ma al di fuori dall’Arco Costituzionale (espressione nata negli anni ’60 per indicare i partiti politici italiani che erano stati protagonisti della redazione e dell’approvazione della Costituzione del 1948), insieme al Partito Nazionale Monarchico.
L’Assemblea continuò la sua attività fino al 31 gennaio ’48 e votò anche la fiducia ai primi governi che si susseguirono in quel periodo (il secondo, il terzo e il quarto governo De Gasperi), fungendo da Parlamento provvisorio. Fu presieduta da Giuseppe Saragat, socialista e futuro Presidente della Repubblica, dal 25 giugno ’46 al 6 febbraio ’47, giorno delle dimissiono. Da quella data, fino allo scioglimento il presidente fu il comunista Umberto Terracini.
Nell’Assemblea Costituente la Democrazia Cristiana annoverò tra le sue fila anche il bitontino Italo Giulio Caiati. Laureato in Lettere e professore universitario di filosofia e pedagogia, militò nella Resistenza tra le fila dei partigiani bianchi, per poi approdare nell’Assemblea prima e nel Parlamento dopo. In Assemblea non si registrarono suoi interventi, ma la sua attività politica, anche successivamente, fu molto importante, specialmente nell’ottica della rinascita economica, civile e sociale del Mezzogiorno. A lui si deve lo sviluppo industriale di Brindisi, che gli ha dedicato, per questo, la sala del Consiglio Comunale.