Il 18 e il 19 giugno 1989, i cittadini italiani ed europei non votarono solamente per il rinnovo del Parlamento Europeo ma votarono anche per dichiarare la propria opinione sul conferimento di un ipotetico mandato costituente in seno all’organo di Strasburgo. Un referendum consultivo che resta, ancora oggi, il primo e unico referendum statale di indirizzo nella storia dell’Italia repubblicana. Anzi. Dal momento che la Costituzione italiana prevede solo tre tipi di referendum, abrogativo, costituzionale e territoriale, oltre ai referendum regionali, l’indizione di questo referendum fu possibile solamente dopo la preventiva approvazione della legge costituzionale, la legge n.2 del 3 aprile dello stesso anno, approvata all’unanimità da Camera e Senato.
Così recitava la scheda che, per la prima volta, gli elettori si trovarono davanti: «Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di costituzione da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?».
Un referendum che nasceva da una proposta di iniziativa popolare che era stata promossa dal Movimento Federalista Europeo ed era stata appoggiata da diverse amministrazioni regionali e locali, oltre che da esponenti di tutte le forze politiche.
E nasceva anche dal Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea, votato e approvato cinque anni prima, il 15 febbraio 1984, dal Parlamento europeo, con 237 voti favorevoli, 32 contrari e 34 astensioni. Un progetto che, tra i padri, ebbe Altiero Spinelli, membro e presidente della Commissione per gli Affari istituzionali fino alla morte, il 23 maggio 1986.
«Il 18 giugno 322milioni di cittadini della Cee saranno chiamati, per la terza volta (la prima per Spagna e Portogalli, entrati recentemente), ad eleggere i 518 deputati al Parlamento europeo. Questo Parlamento ha, però, solo poteri consultivi e di controllo. Ed ecco perché il 18 giugno dovremo anche noi esprimere il nostro parere sulla eventuale nascita di una carta costituzionale europea che darebbe al Parlamento piena sovranità, eliminando la discrasia odierna» fu l’appello che fu pubblicato dal “da Bitonto”, a firma di M. Giovanna Fallacara, che invitava a superare quel sempre maggiore disinteresse che stava comportando, già da dieci anni, un aumento dell’astensionismo: «Quest’anno le elezioni assumono un rilievo particolare, Infatti, se già oggi l’Europa è un’importante realtà economica e commerciale, nel 1992, essa sarà anche una realtà politica; ma il suo ruolo potrà avere efficacia solo se si sarà consapevoli del posto che ci spetta nel pieno recupero dell’indipendenza delle decisioni. Si tratta, insomma, di raccogliere la sfida degli Stati Uniti e del Giappone. Non è certo del tutto facile parlare di coscienza europea, quando ancora a volte non ci comprendiamo fra Nord e Sud! […] Con l’Unione Europea si metteranno insieme le idee e le sinergie che, oggi, invece, si disperdono, per arrivare a risolvere i problemi più urgenti in cui ci dibattiamo: lavoro, giustizia, migliore qualità della vita».
Al voto parteciparono 37.560.404 votanti, l’80,68% dei 46.552.411 elettori italiani. I voti favorevoli furono 29.158.656, l’88,03% dei votanti. Una media poco superiore a quella che si registrò a Bitonto, dove a votare “sì” furono 22095 votanti, vale a dire l’87,02% di chi si recò alle urne, mentre il 12,98% si dichiarò scettico sulla proposta di consegnare maggiori poteri al Parlamento Europeo.
I risultati, dunque, furono ampiamente a favore del quesito, che, tuttavia, privo di ogni efficacia giuridica vincolante, ebbe solo una forte valenza plebiscitaria.
Dal Movimento Federalista Europeo, l’appuntamento elettorale fu salutato come un primo referendum per la Costituente europea, come scrissero, poco prima delle elezioni, sulla rivista “Il Federalista”: «Il referendum europeo è un fatto storico perché darà il primo colpo di scopa a questa assurdità che esiste senza ragioni per esistere; e perché, facendo entrare nel modo comune di pensare degli uomini l’idea della riunione federale delle nazioni, li educherà a una nuova concezione del mondo. Ciò che conta è che con la federazione di un primo gruppo di nazioni europee — le nazioni storiche per eccellenza — comincerà a vivere la democrazia internazionale, cioè una democrazia senza confini, che potrà essere gradualmente estesa a tutte le grandi famiglie del genere umano. È questa l’esperienza politica fondamentale dell’era che sta per prendere forma. I problemi reali del mondo hanno già fatto entrare nell’uso l’espressione “democratizzare le relazioni internazionali”. La loro soluzione farà entrare nell’uso l’espressione «democrazia internazionale», che ne costituisce l’essenza e la verità».