Il 1990 fu l’anno in cui gli studenti tornarono a manifestare, dopo le grandi manifestazioni tra gli anni ’60 e 70 e dopo i movimenti studenteschi dell’85. Fu, infatti, l’anno della “Pantera”, movimento studentesco di protesta nato in Sicilia, nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo. Fu da qui che gli universitari iniziarono un’ondata di proteste che, dal dicembre 1989 alla primavera del 1990, si estese poi in numerose città. Rimanendo, però, confinato all’ambito universitario e coinvolgendo solo marginalmente le scuole secondarie superiori, come sottolineò la Gazzetta del Mezzogiorno nel giugno di quell’anno.
Le proteste nacquero come forma di opposizione alla legge 341 del 1990, nota come riforma Ruberti o “legge dell’autonomia”, con cui il ministro socialista Antonio Ruberti volle riordinare numerosi corsi universitari allo scopo di garantire agli atenei autonomia e agli enti di ricerca, la possibilità di redigere il proprio statuto e di eleggere i propri organi direttivi. Si sanciva, poi, la possibilità dell’insegnamento universitario a distanza. Fino al 1989 il sistema universitario, infatti, era fortemente centralizzato e il Ministero dell’Istruzione aveva il compito di dettare programmi, temi e campi della ricerca scientifica. Con la riforma, si voleva rendere più autonomo, dal punto di vista amministrativo e didattico, il mondo dell’università, pur legandolo al raggiungimento di obiettivi generali.
Ad essere bersaglio di critiche e contestazioni, da parte degli studenti, erano, tuttavia, le disposizioni che relegavano le rappresentanze studentesche, in un Consiglio degli studenti che aveva solo funzioni consultive e quelle che permettevano agli istituti universitari di avvalersi di finanziamenti privati, scelta questa che, secondo i manifestanti, avrebbe avvantaggiato le facoltà scientifiche a scapito di quelle umanistiche. E avrebbe favorito gli atenei maggiori, che avevano più possibilità di assicurarsi risorse in maniera autonoma.
Prendendo l’ispirazione dalle notizie di un avvistamento di una pantera a Roma, gli studenti avviarono proteste che in breve tempo si diffusero in tutte le città universitarie italiane, tra cui anche Bari, dove si verificarono anche occupazioni. Lo rese noto la stampa, riportando la notizia di diversi studenti della “Pantera” denunciati dalla Digos, per aver occupato gli uffici del Rettorato dell’Ateneo
«Intorno a mezzogiorno, un gruppo di studenti, provenienti da un’affollata assemblea in corso nella facoltà di Lettere, faceva irruzione nel rettorato e, avendo trovato chiusa la porta d’accesso del corridoio, la forzava con effrazione dei paletti di bloccaggio e della serratura» si scrisse in un comunicato stampa diffuso dall’Università di Bari l’11 dicembre 1990 e ripreso dalla Gazzetta del Mezzogiorno, insieme alla risposta degli studenti che, invece, esprimevano «ferma condanna nei confronti del Senato accademico, che ha chiesto l’intervento della Polizia». Atto che, per i manifestanti, era segno della «ventata di repressione e di autoritarismo che investe la Puglia», a cui si voleva opporre una opposizione altrettanto ferma e decisa.
Quella di maggio fu una delle ultime manifestazioni di protesta che si tennero a Bari, dopo che altri episodi si erano susseguiti sin da inizio anno, coinvolgendo anche gli studenti di altre facoltà e di altri istituti, come Lingue, Giurisprudenza, Economia e Commercio e l’Accademia delle Belle Arti. E vedendo, schierati sul fronte opposto, gli studenti che si riconoscevano nel Fuan, (Fronte Universitario d’Azione Nazionale, braccio universitario dell’Msi), nei Cattolici Popolari e nel Csec, Comitato Studentesco di Economia e Commercio.
Non mancarono scontri e incidenti, quando, durante un corteo organizzato a Bari, volarono pugni, schiaffi e spintoni tra manifestanti e studenti dei Cattolici Popolari.
«All’origine degli incidenti – riporta la Gazzetta – ci sarebbe stata l’occupazione, da parte della “Pantera” di un locale dell’Ateneo, antistante l’ingresso di via Nicolai, nel quale ha sede il Cusl, Centro Universitario Studio Lavoro, dei Cattolici Popolari. […] Mentre era in corso la manifestazione, un centinaio di Cattolici Popolari avrebbe costretto gli occupanti a sgomberare la sede. A questo punto sarebbero volate spinte, pugni e schiaffi. I tafferugli sono cessati con l’intervento delle forze dell’ordine, che hanno identificato tre persone: due dei Cattolici Popolari ed una del Movimento».
«Aggressione della squadraccia composta da Cattolici Popolari e da noti fascisti del Fuan» dissero, qualche giorno dopo, le Pantere, durante l’occupazione del Campus Universitario, organizzata per spingere anche gli studenti delle Facoltà lì presenti alle manifestazioni di protesta contro la privatizzazione dei servizi universitari.
Una tensione che continuò nei giorni successivi, quando una libreria frequentata dai contromanifestanti, in via De Rossi, fu bersagliata con pietre, uova e arance. Episodio, nel quale rimase ferito lievemente un poliziotto, condannato dallo stesso movimento studentesco “Pantera”, che, ribadendo il carattere pacifico e non violento, parlò di «un deplorevole episodio» del quale si sarebbe resa protagonista «una persona non identificata, un provocatore esterno al movimento».
Il 21 marzo, inoltre, gli studenti bloccarono la stazione di Bari, dopo un sit-in davanti alla sede del Consiglio Regionale della Puglia.
I manifestanti avviarono anche raccolte firme contro la riforma Ruberti, sit-in, cortei e assemblee che proseguirono nei mesi successivi, per tutto l’anno accademico in corso. Non solo contro la riforma, ma anche contro i piani di attuazione regionali. Su questo tema, gli studenti baresi, dopo aver occupato la sala della Giunta Regionale, erano, infatti, riusciti ad ottenere, tramite una proposta avanzata dal Pci, un aumento di 2 miliardi e 550 milioni di lire tra le somme stanziate per l’attuazione del piano di riforma.