Consiglio comunale fiume.
Gli argomenti di discussione, delicatissimi: Iuc (Imposta Unica Comunale su casa e rifiuti), che accorperà Tari (Tassa Rifiuti) e Imu (Imposta Municipale Unica, defunta per la prima casa, ma operativa sugli altri immobili) e per finire Tasi (Tassa sui Servizi Indivisibili) che, invece, avrà una sua propria quantificazione, come per Imu e Tari.
Il tempo occorso per (non) finire la discussione è stato di oltre 12 ore ieri, minuto più, minuto meno.
E oggi, tanto per gradire, si continua.
Perché, come per una donna che cerca di farsi bella, i “dieci minuti, ora torniamo” sono diventati circa due ore d’attesa.
La risposta dagli amministratori arriva dopo le accuse della minoranza:“Il provvedimento è giunto in posta dei consiglieri il 27 agosto, la mail delle correzioni con gli emendamenti questa mattina (8 settembre, ndr) e c’era bisogno per il tempo tecnico della lettura”.
In tutta questa bolgia infernale di sigle, erano circa 110 gli articoli da approvare e una trentina gli emendamenti da dover fare.
In tutta fretta, vista la scadenza imminente a domani, cioè oggi.
Allo stesso ed indecoroso “spettacolo” si è assistito, meno di un anno fa, con la questione Tares, quando il consiglio durò la bellezza di 16 ore (dalle 17 del pomeriggio alle 9 del mattino successivo).
Il buon senso, in questi casi, dove finisce?
Quali risultati producono le riunioni dei capi gruppo, quelle delle commissioni (innumerevoli, messe su per ogni questione)?
Perché non si riesce a concretizzare e a lavorare meglio in questi ambiti?
Il consiglio non dovrebbe essere, in realtà, un momento di sintesi, di raccordo, di confronto politico e non di tecnicismi?
Per non parlare dei dirigenti, talvolta posizionati sull’altare sacrificale, come parafulmini a cui lasciare il compito di districare questioni che richiedono competenze specifiche.
Le tasse intanto ci sono. Che aumentino o diminuiscano, che cambino sigla o nome, il luogo della riscossione o la modalità di dilazione o esenzione, restano. Con tutto il loro peso.
Gli unici che dovranno pagare, senza batter ciglio, sono i cittadini.
Sono proprio loro che finiscono schiacciati dalle manfrine dei politici che siedono tra quei banchi.
Ed i loro compensi sono i nostri soldi.
E i loro posti sono i nostri voti.
Punto.