Stavolta a fare aggio sulla decisione d’imboccare la strada per Palombaio è stata una pulsazione dello spirito, il sussulto che presagendo l’emozione, ha fatto volentieri il paio con il forzato aplomb deontologico.
Ed è così che il 2 marzo, verso sera, sotto un inquieto cielo vernino, la chiesa nuova dell’Immacolata ha ospitato, nella sua tepida ed accogliente radiosità, la commozione di un ricordo, la dolente memoria della Shoah e delle Foibe, ripercorsa didatticamente nel pregevole lavoro condotto da docenti e studenti della scuola media dell’I. C. “Don Tonino Bello” di Palombaio e Mariotto.
Il progetto “Memento” sul tema dell’Olocausto, coordinato dalla prof.ssa Dora Cariello e patrocinato dal Comune di Bitonto, aveva già inscenato la sua “prima” nel mese scorso al Teatro Traetta.
Con la replica a Palombaio, resa possibile grazie all’iniziativa sinergica scuola-parrocchia, magistralmente orchestrata e condotta in porto dal preside Nicola Bolumetti e da Padre Fulvio Procino, si è idealmente chiuso il cerchio di quest’apprezzata iniziativa.
Il 27 Gennaio e il 10 Febbraio (date commemorative ufficiali diShoah e Foibe) hanno dunque rivissuto nell’intensa figurazione titolata “Binario 21, Magazzino 18”, allestita con decoro scenico e sensibilità artistica da ragazzi e ragazze delle terze medie della don Tonino Bello.
Dalle parole del preside Bolumetti, introduttive della serata, si è subito evinto il senso più intimo della memoria: “La Shoah e le Foibe sono eventi bui, le cui commemorazioni non devono avere date precise, ma essere sempre vive, perché certe tragedie umane non sono neanche immaginabili, e non devono mai più ripetersi”.
Le note dolcemente aspre del violoncello hanno accompagnato la lettura di testimonianze strazianti, lettere, diari, racconti dei luoghi della memoria, scivolati dal liturgico ambone come fanciullesche lacrime, calde e struggenti.
Il falò dei libri ordinato dal ministro nazista Goebbels, l’esilio forzato degli Einstein, dei Mann, degli Schnitzler, e la speranza frammista alle righe del diario di Anna Frank; eppoi quelle angosciate immagini, riesumate dalla memoria dei pochi sopravvissuti, d’italiani e italiane disumanamente scaraventati dai partigiani jugoslavi nel baratro orrendo di una dolina carsica senz’anima.
Ecco, alla fine la chiesa è sembrata ammantarsi del tormentato silenzio di una coscienza affranta, che poi ha preso forma, coreograficamente, nel leggiadro tourbillon di movenze di danzatrici umbratili, di nero vestite, nella cui stilizzata sagoma l’afflizione ha saputo artisticamente sublimarsi. Danza e pathos hanno saputo confondersi, risolvendosi in un intenso momento di raccoglimento empatico. Brava Angelica Desario nel ruolo di coreografa.
Infine, Padre Fulvio Procino, a suggello della serata, ha stigmatizzato un certo andazzo contemporaneo, con tutti i rischi che questo possa volgere in un pericoloso comportamento collettivo: “Bisogna saper creare, costruire, perché chi non costruisce, poi distrugge.”
I “luoghi della memoria”, però, quali lanterne del passato, oggi sono in pericolo, a tal punto da diventare corpi estranei, geografie umane non coincidenti con le mappe di un’attualità in continuo divenire, che nella sua pretesa di saper fare da sé rinuncia anche alla tradizione, sentita come retaggio di un passato ormai “passato”.
Si resta dunque sospesi a mezz’aria, pur confidando nella somma umanità delle parole di Anna Frank: “Nonostante tutto, continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo…”.