“Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto
Coppi”: è la frase pronunciata da Mario Ferretti in apertura della radiocronaca
della Cuneo-Pinerolo, terz’ultima tappa del Giro d’Italia del 1949 ed entrata
nella storia del ciclismo.
Il paragone forse non piacerà al sindacoMichele Abbaticchio, che della bici ha fatto una delle icone della sua vincente
campagna elettorale, ma oggi è forse l’immagine che meglio rappresenta la sua
condizione di primo cittadino di Bitonto. E che mi è tornata subito alla mente
ascoltandolo e soprattutto osservandolo durante la conferenza stampa di
presentazione del nuovo vice-sindaco, Rosa Calò.
Come tutti gli uomini di carattere, il
sindaco ne ha uno per niente facile. E la non facile navigazione alla guida
della giunta cittadina, ha finito con il mettere ancora più in luce alcune
asperità, esaltando uno spigoloso tecnicismo nella conduzione della cosa
pubblica.
Michele Abbaticchio appartiene a quella
generazione di giovani italiani insofferente ad una politica parolaia e
inconcludente e arroccata a difesa dei propri privilegi. Con un manipolo di
fedelissimi che lo seguono come un’ombra, ad iniziare dall’assessore Rino Rocco
Mangini (vero Sancho Panza del nostro Don Chisciotte), ha deciso di lanciare la
sfida del fare e dell’attivismo in un Palazzo Gentile abitato da molte anime
morte, da una burocrazia spesso indolente se non chiacchierata e soprattutto
refrattaria e chiusa ad ogni sibilo di cambiamento.
Pur essendo nipote d’arte di un sindaco
democristiano, quel Pasquale Marrone di cui ha rivendicato con orgoglio l’eredità
“europeista”, Abbaticchio mostra di non possedere una spiccata propensione alla
mediazione. E’ uomo dell’agire, della concretezza, insofferente alle pause,
perché – come ammoniva Dante –“perdere tempo a chi più sa più spiace”.
Pur conoscendo abbastanza la macchina
amministrativa comunale e gli angoli più oscuri del Palazzo, il sindaco ha
scoperto, ad esempio, che nel nido bitontino dei lavori pubblici e
dell’urbanistica c’erano e ci sono molte più vipere di quanto non sospettasse.Soprattutto pronte a mordere, come hanno fatto anche di recente, anche a colpi
di minacce e intimidazioni, chiunque provi a metterci le mani.
Ecco perchè dopo qualche mese, sfilate
(ammesso che le avesse mai calate) le mani gentili ma inesperte dell’assessore
Murgolo da quel ginepraio di veleni, il sindaco ha deciso di tenere per sé le
deleghe più scottanti della macchina amministrativa. Condannandosi al ruolo di
parafulmine e vestendo i panni di Cireneo che peraltro gli stanno a pennello.
Ma è proprio questa parabola delle doppia
delega al cemento, tenuta ostinatamente per sé, a disegnare oggi il destino di
un sindaco che dopo aver sempre coniugato al “plurale” i verbi della
speranza di rinnovamento (valga per tutti lo slogan “diventiamo sindaco”) si
trova oggi nella “singolare” condizione dell’uomo solo al comando.
Si racconta negli ambienti politici della
maggioranza che qualche tempo fa proprio gli esponenti di Città Democratica,
che dopo mesi di “purgatorio” conquistano la seconda poltrona nella
“stanza dei bottoni”, abbiano fatto dono al sindaco di un libro dal
titolo assai significativo “Cinque anni di solitudine, memorie inutili
di un sindaco” scritto da Roberto Balzani, primo cittadino di Forlì.
Abbaticchio deve aver capito il messaggio
di Città Democratica, che non era solo quello di una propria “visibilità”
amministrativa, ma anche la spia di un disagio, di un malessere, di una
solitudine, appunto. E del resto bastava guardarsi intorno, l’altra sera, nella
Sala degli specchi, gremita dal “popolo di Rosa Calò”, fatto di
scout, volontari, professori e catechisti, ma in cui non si aggirava neppure
per sbaglio, un assessore che fosse uno (eccezion fatta per il già citato e
sempre presente Mangini, che Dio lo benedica!).
Neppure un briciolo di buon senso, di
cortesia o di curiosità se volete, che avrebbero dovuto suggerire una doveroso
atto di presenza per salutare la nuova collega. Ma forse queste assenze sono
più pesanti e molto più politicamente significative e non attengono alla
mancanza di “bon ton ”istituzionale: sono un’altra istantanea della
solitudine del sindaco Abbaticchio.
Ora che la “compagna di viaggio” per
cercare di colmare questa solitudine amministrativa e con cui dividere i pesi è
finalmente arrivata, forse ad Abbaticchio dovrà giungere in dono un altro
libro.
E “Lettera ad una professoressa” in cui
don Lorenzo Milani, una delle icone di quel cattolicesimo democratico così caro
al nuovo vice-sindaco, scrive che “Ho imparato che il problema degli
altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è
l’avarizia”.
Alcide De Gasperi, pur essendo un vero
“uomo solo” della politica italiana, sosteneva che per governare e fare sintesi
di opposte tendenze e aspirazioni “serve una continua mediazione,
grande pazienza, infinita duttilità”.
Dai democristiani (nonno Pasquale Marrone docet),c’è
sempre da imparare. Il sindaco Abbaticchio sa di non essere un “campionissimo”
come Fausto Coppi e soprattutto che in politica la solitudine non è mai stata
una virtù.