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Home » Il reportage di Emilio Garofalo 3/ Cartolina da Kruja

Il reportage di Emilio Garofalo 3/ Cartolina da Kruja

Lasciata Tirana, il viaggio continua alla scoperta del paese di Scanderbeg, l'eroe nazionale albanese

La Redazione by La Redazione
13 Ottobre 2013
in Cultura e Spettacolo
Il reportage di Emilio Garofalo 3/ Cartolina da Kruja
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Kruja è un
villaggio a nord di Tirana. Caotico quando è il giorno del bazar popolare,
silenzioso sempre, se ti allontani dalla vietta del commercio. Il centro è un
dedalo simpatico di viuzze, stradine, marciapiedi, vicoli, che riflettono il
rosso della bandiera albanese.

Bandiera
che, lì, sventola praticamente dappertutto: balconi, finestre, pali della luce,
ringhiere, vetrine, piazze. E, soprattutto, sulla vetta del castello del casato
di Scanderberg. Stiamo parlando di Giorgio Scanderberg, l’eroe nazionale che,
resistendo a turchi e ottomani, vide in quel piccolo limbo di terra cullato dai
Balcani uno Stato unito, nato proprio a Kruja.

Per
raggiungere il centro, il viaggio da Tirana comincia di buon’ora. Uscire da
Tirana è abbastanza facile, basta chiedere informazioni ai passanti. Sono
talmente gentili che sembra quasi che ti stiano aspettando, per accoglierti con
grande senso di ospitalità e fratellanza.

Pochi euro
ed eccoci nel minivan, rigorosamente fuori norma, che a vederlo sembra più
vecchio dell’uomo che lo guida, una vita segnata Dio solo sa da cosa, mani
spesse come la roccia che ci circonda all’orizzonte, rughe profonde, che
sembrano ruscelli, su un volto mezzo addormentato e mezzo malinconico.

Nel van stracolmo
di persone, molto più quanto possa contenerne, riesco a trovare un pertugio,
accaparrandomi un posto sul predellino interno, intenzionato certo a non tenere
falsi sermoni politici – gesto tristemente noto della storia politica
contemporanea – ma ad assaporare con gli occhi gli scenari polverosi e selvaggi
della provincia albanese.

Sui sedili,
tra gli altri, un gruppo di zingari che conta soldi albanesi, un musulmano
appena uscito da una piccola moschea, una signora anziana truccata
pesantemente, sorridente e gentile. Tre ragazze, tutte brune e tutte belle, e
un ragazzo con in mano un pezzo di carne avvolto in un foglio di giornale: i
migliori compagni di viaggio che potessi incontrare.

Il viaggio
dura circa due ore, lungo una via senza strade, una strada senza forma, terra
battuta e asfalto grezzo, butterato da enormi fori, tombini scoperchiati – i
ragazzini poveri li rivendono al mercato nero del ferro – alberi esili e
piegati al vento caldo che scende dalle vette aride dei monti.

Arrivati a
Kruja, il primo rumore che ci accoglie è il lamento di un agnello. Ce ne sono a
decine, in mezzo alla via, oggi è giorno di bazar. Si vendono, si macellano, si
sgozzano. Si scambia la merce, si contratta, si urla e si paga. Si litiga,
qualche volta – i furbi son dappertutto – ma poi il gentil spirito di
fratellanza balcanica prevale sempre.

C’è una
bancarella, più nascosta delle altre. Dietro al bancone, su cui pendono frutti
invitanti, ci sono due ragazzi. Vedono la macchina fotografica al collo di
questo ragazzo che va verso di loro.

Scoprono che
si tratta di un giornalista. Sorrisi e strette di mano. Alla fine, l’omaggio:
un grappolo di uva nera, dolce e fresca, consumato insieme.

Con ancora tra
le labbra quel gusto che ricorda i tini pieni di mosto grezzo, lasciamo il bazar,
con in mente ricordi già malinconici, e ci dirigiamo verso il picco del monte.
Davanti a noi, il castello di Scanderberg.

Prima di
arrivarci, passiamo davanti a una piccola bottega di filatrici di cotone e
altri materiali. Stupende sciarpe si concedono libere alla brezza della tarda
mattinata, tappeti colorati aspettano di finire nelle mani generose di qualche
compratore.

Noi
passiamo, guardiamo, pronti a documentare lo spettacolo grande della storia
vecchia che si ostina a vivere nei giorni del presente. Poi il castello, il
borgo, pieno di uomini che ti guardano, che sanno che tu sei italiano.

Te lo
leggono negli occhi che vieni da quel paese che, per loro, è stato una specie
di paradiso terrestre, negli anni neri della dittatura rossa. Quel paese dal
quale, ti raccontano con una punta di orgoglio e tristezza, i loro figli non
sono più tornati.

Poi, come
sempre, il tramonto. E quando sei in viaggio, quello è il momento di andare, il
momento in cui devi scrivere il finale di una storia. Ma solo perché sai che,
presto, dovrai scriverne un’altra.

Tags: albaniabitontoda BitontoEmilio Garofalokrujareportagescanderbergtirana
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