«Dinanzi
ai politici di oggi, teatranti e buffoni, noi cittadini siamo
soltanto spettatori».
Filippo
Ceccarelli, uno degli editorialisti di punta del quotidiano “La
Repubblica”, ha abituato i lettori a raccontare le (non) gesta
del potere con sottile ma al tempo stesso pungente ironia.
E
anche il suo ultimo libro (in realtà neanche lui lo chiama in modo
tale, perché può essere «un diario, un lunario, uno zibaldone
per conto terzi, una collezioni di brandelli, un cassetto pieno di
stracci», e tanto altro) ne è una ulteriore prova.
Si
chiama “Come un gufo tra le rovine” e rientra nel
programma di “Del racconto, il film” – il primo festival
nazionale di cinema e letteratura che parla di sociale – curato,
ideato e diretto da Giancarlo Visitilli.
Ebbene,
l’ultima fatica di Ceccarelli – presentata a Bitonto l’altra sera
con Stefano Costantini, caporedattore di Repubblica Bari –dimostra come ci sia in effetti un rapporto curioso e stretto tra
politici e buffoni. Il tutto passando in rassegna i detriti della
cronaca, le note di colore, le comparsate ai margini o al centro
dell’agone, le dichiarazioni più ingenue fatte dai nostri
governanti, le inconsapevoli figuracce, le battute e le offese.
«Il
libro nasce nel 2011 – spiega l’editorialista – nel
momento di crisi del governo Berlusconi. In quel periodo si diceva
che i politici si affidassero anche ai maghi e agli indovini, e
riflettevo su questo aspetto. Poi una sera, mentre torno a casa,
trovo per terra una carta raffigurante un pagliaccio e ho
l’ispirazione».
Politici
pagliacci, allora. Attori di teatro e buffoni. Comici a non finire.
L’inizio
di tutto questo c’è. «E’ il 1986 – ricorda – quando
viene trasmesso il programma “Cipria”, in cui iniziano ad avere
successo i ciccioni. Poi è normale che tutto si amplia con l’arrivo
sulla scena di un uomo di marketing e di pubblicità come Berlusconi.
In realtà, però, neanche con la cosiddetta Prima Repubblica andava
meglio, ma la differenza è che quella classe dirigente prima di
parlare cercava di capire quali effetti avrebbero avuto le loro
parole ai loro elettori».
In
questo processo di spettacolarizzazione della politica, insomma, il
dramma è che «si è passati dalla rappresentanza alla
rappresentazione di se stessi. Adesso con i selfie siamo nella fase
della autorappresentazione. Basta vedere il presidente del Consiglio
Matteo Renzi che si fotografa dopo una lampada per far vedere che è
più bello».
Alla
faccia, ovviamente, degli italiani. Che sono i loro elettori. «Ormai
siamo soltanto degli spettatori – conclude – che soltanto
attraverso la pubblicazione delle intercettazioni riesce a vedere un
po’ di vera politica».
La serata è proseguita, poi, con la proiezione in anteprima di “Burqa“, film diretto da Marco Pavone.