Ben ritrovati cari amici, oggi in questo spazio dedicato alle novità letterarie e non solo, vorrei presentarvi l’autore che ha caratterizzato la mia carriera universitaria, il mio compagno invisibile in treno, saggio e mai banale. Josè Saramago, nato nel 1922 ad Azhinaga ha vissuto gli anni della dittatura portoghese da clandestino scrivendo soprattutto poesie e ottenendo il premio Nobel per la letteratura portoghese.
“Cecità” racconta di un’improvvisa epidemia che colpisce un non ben definito paese del mondo,causando una strana cecità alle sue vittime, non togliendo soltanto il senso della vista ai poveri malcapitati, ma dandogli la sensazione di essere invasi da un’intensa luce bianca, simile a un “mare di latte”.Per cercare di capire cosa possa esserci all’origine dell’epidemia di cecità, il governo decide di trasferire i contagiati in un ex manicomio, adibito per l’occasione a presidio per la quarantena. Gli ospiti dell’ex manicomio, sono impossibilitati ad avere contatti con l’esterno, e iniziano una vita di clausura e convivenza forzata, che darà inizio ad un serie di eventi poco piacevoli. Il continuo diffondersi della cecità fa riempire in men che non si dica l’improvvisata zona di quarantena, aumentando il disagio per i suoi preoccupati abitanti.
Gli uomini e le donne richiusi nell’ex manicomio dimenticano le più elementari leggi del vivere sociale, complici le terribili condizioni di vita e la totale assenza di controllo. In una situazione di panico estremo, alla quale non pare esserci soluzione, i personaggi di “Cecità” danno libero sfogo ai più nascosti istinti primordiali, mostrando il peggio dell’animo umano.
Saramago scrive così la psiche, l’istinto e la realtà dell’uomo che annulla millenni di evoluzione biologica, sociale e culturale , quando la paura e la lotta per la sopravvivenza sono gli unici elementi che lo costringono a continuare a respire.
Col suo solito stile, con l’irruenza di una prosa che trasforma i dialoghi in un flusso di pensieri, il premio nobel per la letteratura portoghese, ci restituisce il ritratto del nostro mondo: cieco di fronte al male, quello che viene da dentro, dalla nostra natura animale, quello che viene da fuori e che ci abbrutisce. Un invito a guardare il nostro tempo e le sue contraddizioni, a fare i conti col buio che ci attanaglia e che ci rende tutti uguali, buoni e cattivi. Tutti uguali perché ugualmente ciechi. Tutti uguali perché la nostra cecità toglie speranza al mondo.