Gieke Marinaj, nel suo ultimo libro “Teach Me How to Whisper” – “Horses” and Other Poems usa la metafora del “viaggio”, visionario e realistico, per sintetizzare la sua vita, in cui tutti i sentimenti umani vengono composti in una specie di puzzle: emozioni, passioni letterarie e umanistiche, studi scientifici e filosofici. E ancora l’amore per la sua terra d’origine, l’Albania, dove risiedono le sue radici, uncinate al cuore di sua Madre, l’amore per la sua donna e la natura, per la libertà. Per la Poesia. Il viaggio, in tutte le sue accezioni, è il suo stesso errare per vari popoli in nazioni diverse, da cui ripartire per ogni nuovo doloroso/gioioso/faticoso inizio. Del resto, “errare” significa anche “sbagliare” e trarre la forza di affrontare ogni incognita, ogni cambiamento per ricominciare e ritrovarsi vivo. E ciò comporta una strana, insolita felicità: voglia di vivere per migliorarsi e per dedicarsi con maggiore impegno ai suoi studi prediletti, soprattutto metafisici, con cui è più facile scoprire l’anima, la parte più profonda e insondabile di ciascun uomo e, in particolare, degli Artisti e dei Poeti, sempre pronti a sconfinare in un “altrove” che è perdita e riappropriazione di sé, e del sé che gli altri percepiscono in maniera soggettiva, ma che offre allo specchio dell’anima una percezione ribaltata e mai vera, mai falsa. Insondabile e Imprendibile dall’esterno.
Molto suggestivo il titolo del libro, che trae spunto dal gruppo musicale dei DevilDriver, groove metal/melodic death metal di Santa Barbara, Stati Uniti. Ed è come avere il primo impatto sonoro con la musica che si riverbera nel rosso acceso della sovraccopertina e l’inquietante immagine stilizzata di colore nero di un cavallo imbizzarrito e ribelle ad una condizione di vita in cui si sente prigioniero e umiliato.
“Teach Me How to Whisper” è una preghiera e una supplica del poeta a un “tu” che potrebbe essere la sua amatissima sposa o lo sconosciuto lettore, ossia ogni altro da sé, o il suo stesso “Io” in uno sdoppiamento accorato e intenso perché nulla vada disperso o perduto di sé come Persona e come Poeta.
Tanti sono i Componimenti poetici di Gjeke Marinaj, a completamento di “Horses”, che evidenziano il suo amore per Omero il più grande poeta greco e per la storia dell’Occidente, in particolar modo dell’Italia rinascimentale, novecentesca e contemporanea.
Il libro, che si avvale dell’ottima Introduzione dello scrittore e critico letterario Frederick Turner, è anche un dono per tutti gli altri parenti Albanesi. L’Albania con i suoi miti e i suoi eroi, con le sue ferite e i suoi tormenti, i suoi emigranti che hanno attraversato l’Adriatico più e più volte, in cerca di lavoro e di libertà. Egli stesso emigrato in Serbia e di qui in America per sfuggire alla cattura e alla morte, per essersi ribellato a un Regime che teneva la sua gente in catene e sottomessa in umiliante schiavitù. I temi della Silloge riguardano l’amore, forza trainante per il recupero dell’Umanità nell’uomo contemporaneo e del prossimo futuro; i pensieri esortativi e assertivi per spingere i pavidi a lottare per le proprie idee e i propri ideali, per i valori di sempre; la vita e la morte, in cui il poeta si cimenta con il tema del terrore dell’attraversamento del Male fino a scontrarsi con la Morte e a combatterla con i mezzi della ragione e le ragioni del cuore “che non conoscono ragione” (come Biagio Pascal suggerisce); le Eroine, in cui teneramente include sua Madre, eroina del quotidiano, e tutte le Donne che hanno declinato la Storia al femminile con pazienza, coraggio e tanta forza silenziosa e imperiosa; Poesie metafisiche, di cui si è già parlato; I Poeti: dai Cantori greco-latini al sommo Dante, dal suggestivo “Song of Salomon”, quale primo poeta lirico affascinato dal “Talmud” tra letteratura e filosofia, per giungere ai poeti tedeschi come il grande Goethe, teorico del concetto di letteratura mondiale, che tanta parte ha oggi nella poetica di Gieke Marinaj, e il fantastico Coleridge, col suo “sublime”, che sacralizza la natura e la kantiana soprannaturalità dell’uomo; dal fluviale romanticismo amoroso e patriottico del grande Pablo Neruda, il cui lirismo è inconfutabile fonte di ispirazione, ai grandi poeti Serbi, ai quali il nostro Autore è eternamente grato per averlo accolto durante la sua fuga dall’Albania verso l’esilio; dal famoso poeta Albanese Frederik Rreshpja, morto in povertà per i suoi ideali e la sua ideologia a tutti gli altri poeti, amanti della natura e degli animali, che hanno scritto un patto di alleanza imperituro, con cui essi, come l’Araba Fenice, risorgono dalle loro ceneri per onorare ancora e sempre la Poesia della terra, del sole, dell’universo. E, poi, la Terra appunto: con i suoi versi Gjeke Marinaj canta la bellezza, il sogno, la fantasia, il blu dei fiumi, dei mari, dei laghi, la naturale preghiera a Dio delle baie colme d’incanto; e, infine, l’India, divisa in 14 parti, tra rime, assonanze, metafore e ritmi ancestrali come “il battito del cuore materno che palpita nel suo cuore”. E tutti i luoghi esplorati, conosciuti, amati. Tra esseri umani, bestiali, divini. Tra deserti e abissi, tra canzoni popolari e oniriche avventure, tra i miti del passato e gli eroi del presente, tra riflessioni filosofiche e deduzioni scientifiche.
<Le mie poesie – ha affermato Gjeke Marinaj alcuni mesi fa, rispondendo ad una intervista della scrittrice e poetessa Xosiyat Rustamova – affrontano questioni sociali, politiche e ambientali in continua evoluzione. Mi piace sentire la mia penna danzare con storie di ricerca sull’individualità in un mondo digitale, le sfide legate al bilanciamento tra vita virtuale e reale e la complessità delle relazioni umane in questa era interconnessa>.
E nella stessa intervista, molto importante, a mio parere, è quanto egli stesso chiarisce della <nuova lunga poesia sull’India intitolata “The Lost Layers of Vyasa’s Skin”>, affermando che è un libro che <esplora il potere della cultura e la lotta per trovare la vera pace e scoprire la nostra autentica identità di persone nella travolgente e ricca storia dell’India e di altre nazioni (…). Il mio nuovo lavoro discute l’arma a doppio taglio del progresso. Mentre avanziamo e sveliamo i segreti della natura, della speranza (…). Il mio obiettivo è ricordare ai lettori l’importanza dell’empatia, della comprensione e delle connessioni che ci uniscono come comunità planetaria. Sul palcoscenico della vita del 21° secolo (…) il vero potere di tutte le Arti e le Scienze, e fra queste quello della Letteratura, risiede nella sua capacità di andare oltre il tempo e il luogo, unendoci tutti nell’esperienza condivisa della nostra umanità migliore>. In India, dunque, Gjeke Marinaj ha incontrato tanta povertà materiale, ma anche tanta ricchezza spirituale tanto che ogni sua strada è un percorso fiorito di Dio, ogni Dio possibile, sulla terra. Ha incontrato soprattutto una terra ricca di tensione verso la Libertà e la Speranza.
Gjeke Marinaj, del resto, in questo suo Libro, si rivela egli stesso sintesi del suo amore per la filosofia e la metafisica, sempre in sospensione tra la terra e il Cielo, tra la sua patria e i confini del mondo fino a sfiorare l’universo per incontrare il sogno di Dio, il dono del Suo sorriso e del perdono per l’umanità intera. È facile scoprire, pertanto, nel nostro Autore la PERSONA, rivolta al BEN-ESSERE di tutti e di ciascuno con la sua Teoria del Protonismo, e il POETA, sognatore, visionario, ricco d’amore per l’intera umanità, e fonte di tutti i misteri che fanno Alta la sua POESIA. I poeti – sostiene Albert Einstein – hanno una mente intuitiva che favorisce il penetrare nel profondo del cuore, della terra e degli uomini. La più alta forma del pensare.
Del resto, il monaco indiano Shantideva (685 – 763 d. C.) afferma: Tutta la felicità nel mondo deriva dal pensare agli altri; tutte le sofferenze nel mondo derivano dal pensare solo a sé stessi. E mi piace ricordare anche che il Mahatma Gandhi ha strenuamente sostenuto: Tu e io non siamo che una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi.
E, oggi più che mai, in un mondo che si proclama “villaggio globale” (Marshall McLuhan), ma che in realtà vive di diffidenza, rifiuto, violenza, odio, ogni forma d’Arte è un dono sempre più prezioso quando si fa contagio di emozioni nello scambio reciproco, tra realtà umana e sacralità divina. Nella Poesia, per esempio, il divino si fa umano e “s’incarna nella parola” (Paul Valery).
Nel Libro di Gjeke Marinaj è proprio tutto questo che ci colpisce e ci fa riflettere sulla possibilità concreta che la Poesia unisca i popoli, elimini steccati, renda l’umanità migliore.
Abitiamo sotto cieli diversi che sono comunque lo stesso cielo. Abbiamo credi diversi, pure respiriamo lo stesso respiro divino che avvertiamo in tutto il Creato, noi uniche creature tra tutti gli esseri viventi a sapere di un Creatore, padrone della vita e della morte, a cui rivolgiamo la nostra preghiera e il nostro canto.
Parliamo lingue diverse, ma la POESIA, quando è autentica voce dell’anima, le racchiude tutte e si fa desiderio, nel tempo, di raggiungere l’altro e l’altro ancora. E ciò dilata gli orizzonti, che non hanno più confini. Neppure nel nostro cuore.
Ritengo, pertanto, che la nuova silloge poetica di Gieke Marinaj sia un monito per l’umanità intera e per i giovani che scriveranno la storia, anche letteraria, del prossimo futuro, come protagonisti di ogni trasformazione e cambiamento in meglio della società mondiale. Con la Speranza che abbiano il cuore colmo di Amore, di Sogni, da trasformare in progetti di vita, e di Poesia!