Dopo il successo di pubblico registrato a
gennaio, l’associazione culturale “Amici per la crepapelle” ha riproposto
domenica scorsa lo spettacolo “Filumena Marturano”, libero riadattamento in
vernacolo bitontino dell’omonima opera teatrale di Eduardo De Filippo.
L’opera, scritta nel 1946, è uno dei grandi
classici del teatro napoletano ed è uno dei lavori di De Filippo più conosciuti
e apprezzati dal pubblico e dalla critica internazionale. «La più cara delle sue creature» soleva definirla il drammaturgo partenopeo,
come ha ricordato l’attrice Anna Damone, che ha interpretato domenica scorsa Diana, la giovane
infermiera che il protagonista vuole sposare dopo aver invalidato il matrimonio
con Filumena.
La trama racconta le vicende di quest’ultima, ex
prostituta e madre di tre figli avuti da tre uomini diversi, uno dei quali è del
marito Domenico Suriano, che ne è totalmente all’oscuro. Costretto da un
inganno della Marturano, che fingendosi in punto di morte volle sposarlo, Domenico è
intrappolato in un matrimonio mai accettato. Per annullarlo e sposarsi con
Diana, le tenta tutte, riuscendo alla fine ad avere la ragione. Ma la
notizia dell’esistenza di un figlio avuto da Filumena scombinerà i suoi piani.
Accetterà, quindi, di risposare la protagonista, ma a patto di non sapere quale
dei tre è il suo vero figlio, perché conoscendone l’identità, secondo Filumena,
farebbe preferenze rispetto agli altri due.
Ad interpretare il ruolo che fu di Sophia Loren,
nella versione cinematografica di Mastroianni del ’64 (Matrimonio all’italiana), è stata Daniela Schiavone,
mentre il ruolo di Suriano è stato interpretato da Carlo Pice. Nella Mongielloe Giovanni Garofalo hanno interpretato rispettivamente Rosalia, complice della
protagonista, e Alfredo, amico di Domenico, che aiuterà quest’ultimo d
affidarsi all’avvocato Nocella, Antonio Colasuonno. I tre figli sono stati
interpretati invece da Giuseppe Abbadessa, Francesco Bonasia e Fabrizio Decaro.
L’associazione “Amici per la crepapelle” ha
quindi riproposto l’opera che, sebbene sia stata scritta 70 anni fa, conserva la
sua attualità, aggiungendoci l’ironia che il dialetto bitontino è in grado di
dare senza stravolgere il significato originario del capolavoro di De Filippo.