L’ultima pagina di questa storia l’ha scritta, qualche giorno fa, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Domenica scorsa, infatti, il primo cittadino meneghino è tornato a chiedere con forza una cosa buona e giusta, ma proprio perché tale non ancora avvenuta. Perché, purtroppo, anche in Italia, accadono queste cose. Soprattutto se a compiere cose negative sono gli altri. Ha preteso, quindi, che gli americani chiedano scuse per aver ucciso oltre 200 persone senza pietà. Con una bomba, lanciata senza scrupoli in un Paese, l’Italia, appunto, che già da un anno era cobelligerante.
Il calendario segna 20 ottobre 1944. Il dì di una delle stragi più barbare della Seconda guerra mondiale. La morte di quelli che continuiamo a chiamare i martiri di Gorla.
L’orologio dice che sono le 11.24. Via Fratelli Pozzi, quartiere Gorla a Milano. Nella scuola elementare “Francesco Crispi” sono presenti circa 200 alunni, le maestre e il personale ausiliario. Si sente suonare l’allarme antiaereo, dato in estremo ritardo e cioè quando gli aerei sono già sul capoluogo lombardo, partiti dall’aeroporto di Foggia.
Tre minuti dopo, dai vani bomba dei B-24 piovono le bombe. In due minuti i primi ordigni giungono al suolo. È l’inferno. La scuola Crispi è uno tra i primi edifici colpiti. Un ordigno di 500 libre si infila nel vano scale, mentre gli alunni e le maestre stanno ancora scendendo nel rifugio, senza possibilità di scampo. Il bilancio è drammatico: 184 bambini tutti di età tra i sei e i dieci anni, 14 insegnanti, il dirigente scolastico, quattro bidelli e un’assistente sanitaria. Complessivamente, il bombardamento di quel giorno provoca 614 vittime, e un numero mai calcolato di feriti.
E il bilancio poteva essere ancora più immane, se fosse andata completamente distrutta anche un’altra scuola vicina.
Per questi crimini nessun ufficiale alleato ha mai pagato.
Per questi reati contro persone inermi nessuna Norimberga è stata indetta.
Ma, forse, ha ragione quel cantante quando diceva che è inutile suonare, tanto non risponderà nessuno.