Questo è un anniversario davvero particolare.
Non è la morte di una persona influente (o diventata tale dopo la dipartita), la ricorrenza di un evento storico che ha segnato la storia del Belpaese, o le gesta di qualche eroe.
Si tratta di un qualcosa di diverso ma che profuma di italianità. Di identità italica post Regno d’Italia ma soprattutto post Prima guerra mondiale. Della nostra Repubblica. Di storia. Di politica. Di storia intrecciata alla politica. Di pagine belle e meno belle di quello che siamo noi oggi.
Qualche giorno fa, infatti, ma forse è passato un po’ in sordina (non casuale, visto il disaffezionamento che c’è) l’aula della Camera dei deputati, Montecitorio, così come la conosciamo noi oggi, ha spento le prime 100 candeline. Ha superato la fatidica soglia del secolo di vita. Ed è normale che abbia più di qualche acciacco.
Ed ecco, allora. È il 21 novembre 1918. Il Belpaese, con le ossa rotte, è appena uscito vincitore dal primo conflitto mondiale contro l’impero austro-ungarico. C’è da festeggiare, allora, e lo si fa in quel palazzo – l’idea e l’ingegno sono state del Bernini – sede della Camera già dal 1871, seppur altrove. Nell’attuale cortile, freddo d’inverno e bollente d’estate perché fatto di ferro e legno.
Ma, adesso, è rinnovato. Nuovo di zecca. Grazie allo style liberty di Ernesto Basile, uno dei più importanti architetti palermitani, che di quella struttura ha curato tutto il restyling. Porte. Maniglie. Attaccapanni. Simboli massoni. Anche le tribune erano appena costruite. E piene zeppe di rappresentanti dei mutilati di guerra, di gente arrivata dalle terre redente, di persone comuni che volevano assistere all’avvio di una nuova pagina di politica. E guardare negli occhi quell’Italietta che era cresciuta, si era mossa, diventando Italia.
E che firmava il suo primo atto lì dove c’erano i tribunali papalini e venivano annunciati i numeri del Lotto.
Il primo presidente è Giuseppe Marcora. E queste le prime parole: “Onorevoli colleghi, l’Italia è compiuta”.
E da quella data in poi, in quel gran teatro, di pagine, pagine, e ancora pagine, ne sono state scritte tante. C’è da dire che di anticorpi ne aveva già tanti (gli autunni del Risorgimento, l’antipolitica di fine ‘800, l’età giolittiana della prima metà del ‘900), e poi sono arrivate quelle del centrismo, del centrosinistra, la solidarietà nazionale, il Pentapartito, Tangentopoli, il berlusconismo, il renzismo. Tutto in una parabola discendente che ne hanno messo in discussione il primato e il ruolo da potere legislativo.
Di colori, poi, ovviamente figurativi, ne ha cambiati tanti quel vecchio caro palazzo style Liberty. Ha avuto quello bruno del Ventennio fascista, che voleva rendere l’aula “sorda e grigia” da quel 3 gennaio 1925. Rosso e multicolore della Costituente dell’immediato dopoguerra.
Verde, quando i leghisti hanno sventolato il cappio al collo dando il de profundis alla Prima Repubblica.
Gialloverde, l’attuale, che comunque vada a finire, passerà alla storia.