Dall’Eretico bitontino riceviamo e pubblichiamo.
“Ho deciso, scendo in campo!
Per tanto tempo ho inseguito uno stile di vita atarassico e slegato da ogni coinvolgimento politico, per troppi anni mi sono dedicato alla cura del sé, giustificando le mie assenze nel pubblico dibattito, che, per quanto povero sia stato negli scorsi anni a Bitonto, meritava comunque la mia presenza.
Ho lavorato, ho accresciuto la mia cultura personale, ho approfondito temi che sapevo mi sarebbero tornati utili, sono sceso dalla torre eburnea, ho respirato aria cattiva, colma di livore e di sfrenate ambizioni vicereali, ho preferito allora tornare sulla torre per godere dei piaceri e delle gioie della vita, lontano da tutti. Un giorno, non tanto tempo fa, ricevo una chiamata. Un amico di vecchia data, un sodale intellettuale. In quel momento ho pensato che si trattasse di una telefonata di circostanza, dei soliti convenevoli per l’attività professionale o per qualche richiesta di pubblicazione.
“Bitonto è morta. Va fatta rivivere.”- mi dice. Riesco ancora a percepire quella voce metallica e increspata.
Le constatazioni, anche quelle eseguite con il solito metodo autoptico, quello che Tucidide ha insegnato ai suoi allievi storiografi, non hanno mai tradito quella valutazione. Bitonto è davvero morta. Un cadavere putrescente. È morta la cultura bitontina, affossata dai giochi del circo che qualcuno scambia per pianificazione culturale; è morta la civiltà bitontina, trucidata da un’involuzione del comune sentire che ha allontanato l’uomo bitontino dal dibattito, dalla socialità, dal tentativo di istituire un dialogo maieutico. L’uomo bitontino, allontanato dalle Istituzioni e dagli stessi uomini politici che si sono serviti del suo voto per asfissiare la Città, ha perso fiducia nella politica, negli uomini politici, anche in quelli che durante i comizi del 2012 si proclamavano responsabili, pur sapendo che avrebbero vissuto solo di politica. È morta l’igiene pubblica, è morta la pianificazione urbana, è morta la trasparenza, è morta la semplicità di una classe politica, attratta dalle astrusità del social networking, dalla bramosia, dagli artifizi che non piacciono a nessuno.
Non si sa dove sia finita l’onestà intellettuale di conferire onore al merito ai predecessori, a chi si è speso davvero per la riqualificazione delle piazze, dei musei, delle dimore storiche. Dieci anni di amministrazione vicereale hanno domato le aspettative dei bitontini di vivere in una città moderna, sostenibile, ben amministrata, trasparente, propositiva, in una Città che non faccia della cultura del sospetto e della caccia alle streghe la sua ragione di vita. Vivere in un clima da Controriforma non è stato facile, tuttavia ha fatto maturare in me una convinzione: cambiare e rivoluzionare questa Città sin dalle radici profonde, forse, non è utopia. Non può essere che l’auspicio di tutti, degli ultimi della fila, dei dimenticati, degli esclusi dalla vita della Città, che a Bitonto non può e non deve rispondere alle istanze vicereali.
Voglio vivere in una Bitonto aperta al dialogo, in una Bitonto che rifugga dalla censura, in una Bitonto europea, in una Bitonto che non commetta gli errori del passato, in una Bitonto autorevole, in una Bitonto governata direttamente dai cittadini, in un meraviglioso paese che faccia sintesi dei suoi bisogni, in un centro che esploda di bellezza, di arte, di legalità. Sulla legalità e sulla perseveranza ho eretto i principi del mio agire; con la mente rivolta al futuro dei mie figli e dei miei concittadini ho pianificato la più ardita e coraggiosa delle rivoluzioni culturali, la rivoluzione della bellezza, della grazia, di una comunità orgogliosa, onesta, lavoratrice. Sarà la rivoluzione di tutti, della tradizione, della buona politica, del buongoverno.
Il rovinoso stato delle cose a Bitonto è sotto gli occhi di coloro che utilizzano gli stessi per osservare la realtà e non per provare ad immaginarla secondo i canoni e le deformazioni pubblicate quotidianamente dal Viceré. Cancellare ogni anelito vicereale e ogni tentativo di continuità con il Viceré, sostituendolo con una promessa di prosperità, ottenibile con il lavoro di tutti e solo con una classe dirigente che merita di esser definita tale e che sia bonificata dai mestieranti: questa è la sinossi della mia intenzione amministrativa.
Per coloro che amo, per tutti coloro che in questi giorni calorosamente mi hanno sostenuto e mi sosterranno nella battaglia per dissipare il buio della torbidità bitontina, per un futuro migliore, per un avvenire proficuo, scendo in campo e calpesto l’agone politico per ridare a Bitonto quel lustro che gli è stato indebitamente sottratto da una casta politica sconsiderata ed irresponsabile”.