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Home » Trauma, resilienza, creatività

Trauma, resilienza, creatività

Rossella Intini by Rossella Intini
25 Ottobre 2013
in alter ego, Rubriche
Trauma, resilienza, creatività
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L’Associazione Libri Su Misura, associazione di volontariato che promuove la lettura nei reparti di pediatria e di neonatologia, ha condotto una meravigliosa iniziativa correlata al trattamento del dolore e alla sua trasformazione in esperienza positiva. La conferenza è stata tenuta dalla Prof.ssa Chiara Scardicchio, docente presso il corso di laurea in Scienze della Formazione di Foggia.
Proverò a riportare i contenuti della conferenza sperando di trasmettere, in piccola parte, ciò che la professoressa è stata in grado di regalare agli astanti.

Secondo l’assioma di Hebb, due cellule che vengono stimolate insieme ripetutamente tenderanno a diventare “associate”, così che successivamente l’attività dell’una favorirà l’attività dell’altra. Traslato nella vita reale, questo è il motivo per il quale un profumo associato ad una persona, risentito a distanza di tempo,
ricorderà ancora quel soggetto evocandone il ricordo, positivo o negativo che sia.
Secondo diversi studi, tra cui quelli tratti da Daniel Siegel, a due anni le nostre connessioni sinaptiche sono già definite e possono addirittura influenzare una scelta presa 20 anni dopo. “La nostra identità personale è piena di adattamenti ad una lista di
esperienze che risalgono ai primi giorni di vita e proseguono fino al presente”
.

Tale scoperta risulterebbe inquietante se pensassimo
che dunque tutto è determinato e definito soprattutto nella nostra attitudine
ad affrontare le difficoltà. Non è propriamente così.

Siamo dotati  infatti di plasticità
celebrale
: è possibile instaurare nuove connessioni sinaptiche ed
eliminarne alcune. È dalla plasticità stessa che dipende la nostra libertà. È vero
che il cervello è incline alla conservazione: preferisce la comodità alla
tribolazione della ristrutturazione, il noto all’ignoto, lo sperimentato
all’inesplorato; ma è possibile uscire dagli schemi del pensiero, rischiare,
affrontare i nostri “draghi personali”.

La soluzione è mettere
in atto delle strategie di coping, di fronteggiamento, ed evitare assolutamente
il negazionismo. Un bambino a cui non viene raccontata la realtà del divorzio
dei genitori, della morte di un nonno, di un cambiamento, non è un bambino più
forte in quanto protetto, bensì è un bambino fragile. Egli infatti si racconterà una storia per spiegarsi
gli eventi, ma sarà una storia distorta.
(Il divorzio in sé può non essere fonte di trauma, diversamente dalla
rappresentazione che il bambino si dà dell’evento).

Ognuno si prefigura
le realtà attraverso uno script, un filtro. Dal 1800 sono stati effettuati diversi
tentativi scientifici per conoscere la realtà e controllarla. Bruner tuttavia
afferma che non è possibile conoscerla se non attraverso una storia : “La vita è come ce la raccontiamo”.

Lo snodo della
nostra identità dunque sta nella capacità di narrare: solamente la narrazione
del dolore permette il suo controllo. Un dolore non narrato è un dolore che
possiede. “La capacità di narrare
permette di rendere gli eventi rappresentabili e quindi comprensibili e
governabili”
– Cyrulnik.

La narrazione può
avvenire attraverso la parola, ma anche attraverso la simbolizzazione e la
creatività, strettamente collegati. ”La
creatività è intesa non solo come metodo, ma come visione: la competenza di
saper uscire fuori dalle proprie cornici-routines consolidate di pensiero e
azione – che coincide con lo scoprirsi scrittori e ri-scrittori della propria
storia, suoi fecondi artefici, non sterili esecutori di un copione già scritto”
– (Logica E Fantastica, Chiara Scardicchio).

Certo, tale
processo non può essere avulso da perturbazioni, dal ribaltamento, dal caos. L’importante
è essere consapevoli della verità per cui si guarisce in base alla misura in
cui si riconosce in se stessi una ferita.

La nostra
simbolizzazione non è altro che un modo per sopravvivere al dolore, in quanto “può esistere un modo sano per essere
malati”
. Ci diamo un senso per resistere al non senso. La professoressa
riporta l’esempio de “La vita è bella” di Benigni. Il padre Guido, giunto al
campo di concentramento col piccolo Giosuè, gli rivela che si tratta di un
gioco in cui, dopo una serie di difficoltà e privazioni, è possibile vincere un
carro armato. Il carro armato è il simbolo della libertà. Tale esempio
non è una illusione intesa nella sua accezione negativa, bensì collegata alla
sua etimologia: in lusio, in gioco. Benigni inserisce la sua storia in una
storia che lo trascende, permettendo comunque il fronteggiamento della
difficoltà senza negare al bambino la presenza di ostacoli da dover superare.

Fondamentale,
dunque, è la presentazione di un concetto a me molto caro: quello della
resilienza associato alla creatività. La resilienza è la proprietà di un
materiale di resistere agli urti senza spezzarsi, per trasposizione, dunque, la
capacità di far fronte ad eventi negativi o traumatici.

Il poeta Paul
Claudel scrive: “Nel temperamento americano c’e’ una qualità, chiamata
resiliency, che abbraccia i concetti di elasticità, di rimbalzo, di risorsa e di
buon umore. Una ragazza perde il patrimonio, senza stare a commiserarsi si
metterà a lavare i piatti e a fabbricare cappelli. Uno studente non si sentirà
svilito lavorando qualche ora al giorno in un garage o in un caffè. Ho visitato
l’America alla fine della presidenza Hoover, in una delle ore più tragiche
della sua storia, quando tutte le banche avevano chiuso i battenti e la vita
economica era ferma. L’angoscia stringeva i cuori, ma l’allegria e la fiducia
splendevano nei volti di tutti. Ad ascoltare le frasi che si scambiavano si
sarebbe detto che era tutto un enorme scherzo. E se qualche finanziere si
gettava dalla finestra, non posso impedirmi di credere che lo facesse nella
ingannevole speranza di rimbalzare”.

E’ possibile dunque riscrivere la propria storia: costruendo,
giorno per giorno, la propria attitudine a vedersi in un mondo nuovo, a
capovolgere lo sguardo su di sé, a combattere le forze conservatrici che ci
attanagliano.

La professoressa ha terminato la conferenza riportando
l’esempio di Dorothy, protagonista della fiaba “Il mago di Oz”.  Dorothy affronta gli uragani, ma proprio
dagli uragani riceve le scarpette!

I
traumi e le sofferenze non possono essere eliminate dalla nostra vita, non solo
perché umanamente impossibile, ma perché d’altronde essi stessi sono veleno ed
antidoto, permettendo una crescita, una moltiplicazione del proprio essere, uno
sviluppo della propria identità. (“Là
dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”
– Holderin)

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