Acqua e sale contro ogni male: lacrime, sudore, mare.
Lo scriveva l’autrice danese Karen Blixen quasi un secolo fa ed era un rituale di protezione sin dall’antichità quello di sfregare i neonati con il sale. Sa di sale la salvezza dai nostri dolori, che possiamo vincere piangendo, lavorando o entrando in contatto con la natura e la dimensione acquatica ed emozionale del mare.
Quante volte ci è capitato di camminare guardando le onde, inspirando la salsedine nel tentativo di liberare l’anima da un peso che non ci riesce di abbandonare o nella speranza di mettere in fuga qualche pensiero nero di cui volerci disfare e tornare a casa realmente alleggeriti.
Quante volte immergere i piedi nell’acqua salata ci libera il cuore, per il solo contatto con qualcosa di vivo che si muove come una carezza attorno al nostro corpo che, nella tristezza, sentiamo morto.
Quante volte indossare le scarpe ginniche e sudare in una lunga camminata o in un intenso lavoro fisico ci svuota dall’energia compressa di una rabbia e scarica la tensione che accumuliamo tra mura domestiche e relazioni tossiche.
Altrettante volte è piangere che ci libera.
La cura della nostra felicità è affidata a noi stessi ed è una responsabilità da tenere a cuore.
“Il nostro cervello è fatto di strutture che sentono e strutture che capiscono”, come spiega chiaramente la professoressa Lucangeli in alcuni suoi interventi. Le prime sono strutture antiche e potenti e servono alla sopravvivenza, le seconde hanno il compito di processare i messaggi ricevuti dalle prime e trasformarli in avvertimenti o indicazioni da seguire. Le emozioni, per esempio, sono queste forze per la sopravvivenza: quando sentiamo la paura il cervello ci avverte che siamo in pericolo e ci allontana da ciò che attiva la paura.
Così, se impariamo cosa ci dà gioia, il cervello ci aiuterà a ritrovare esperienze che costruiscono sentieri più luminosi.
Le emozioni nascono dalle sensazioni che il nostro corpo riesce a sperimentare e che ci permettono di sentire la connessione con la vita in cui siamo immersi. Il benessere va procurato come ci si procura un cibo gustoso, l’educazione al nostro bene profondo va coltivata con accortezza per poter uscire dall’immobilità a cui spesso il dolore ci aggancia.
Abbiamo immense possibilità di dare valore alle nostre giornate, cambiandone la luce e sollevando lo sguardo oltre l’orizzonte su cui ci soffermiamo a volte per sfiducia o per indolenza.
Educare l’intenzione è un bene necessario perchè, come scriveva Montale in un verso che spesso mi ispira, “forse solo chi vuole s’infinita”.