Una
realtà sempre più importante e in continua crescita è la presenza di animali
nelle famiglie.
Ne
consegue la necessità di conoscere le responsabilità connesse per eventuali
danni cagionati a terzi.
All’ipotesi
generale di responsabilità aquiliana, di cui all’art. 2043 c.c., il Legislatore
codicistico ha affiancato quella prevista dall’art. 2052 c.c., concernente il
danno cagionato da animali in custodia.
Sulla
natura giuridica e sui criteri di imputazione di tale responsabilità ha
notevolmente influito il mutamento, nell’odierno contesto sociale, del rapporto
intercorrente tra proprietario e animale. In passato, infatti, il proprietario
era solito custodire gli animali soprattutto per finalità produttive, con la
conseguenza che la responsabilità per gli eventuali danni causati a terzi
veniva strettamente connessa ai vantaggi che il proprietario traeva
dall’animale. Oggi, diversamente, l’impiego degli animali in attività
lavorative è ormai cosa rarissima: gli animali, infatti, vengono sempre più
custoditi per finalità ludiche e di compagnia.
Sulla
natura giuridica della responsabilità civile per i danni cagionati a terzi da
animali si confrontano, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, due opposte
costruzioni interpretative.
Una
prima tesi afferma che si tratta di una responsabilità che trae origine dalla presunzione
di culpa in vigilando o in custodiendo, consistente, più precisamente, nella
mancata adozione della diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura
dell’animale.
Per
altra impostazione interpretativa, oggi prevalente, la responsabilità del
proprietario o dell’utilizzatore dell’animale non si fonda sulla mera custodia,
ma costituisce la contropartita dei vantaggi connessi all’uso del medesimo, in
applicazione del c.d. principio dell’utilità e del rischio. Pertanto, nella
valutazione della condotta di proprietario e utente, dovrà tenersi in debita
considerazione il fatto che tali soggetti sono gravati da un onere di diligenza
superiore alla media; diligenza quest’ultima da valutare tenendo conto delle
caratteristiche proprie dell’animale custodito.
La
più recente giurisprudenza è giunta ad affermare che «colui che ha la proprietà
o l’uso dell’animale risponde per il solo nesso di causalità fra l’azione
dell’animale e l’evento, indipendentemente da una sua negligenza, imprudenza o
imperizia o da una concreta colpa nella custodia dell’animale».
La
responsabilità per i danni cagionati da animali, quindi, costituisce un’ipotesi
di responsabilità oggettiva «che risponde all’intento legislativo di privilegiare
il danneggiato sul danneggiante con il limite del caso fortuito».
Con
riferimento al caso fortuito, l’accoglimento dell’una o dell’altra teoria
produce inevitabili ricadute sull’onere probatorio gravante sul proprietario o
sull’utente per andare esente da responsabilità.
In
particolare, la dottrina tradizionale, sempre più minoritaria, sostiene una
concezione estensiva di caso fortuito, secondo cui sarebbe sufficiente a
integrare il fortuito l’assenza di colpa del proprietario o dell’utilizzatore
dell’animale.
Diversamente,
quanti aderiscono al secondo orientamento, oggi prevalente, accolgono una
nozione ristretta di caso fortuito, inteso quale evento imponderabile e
imprevedibile che si inserisce all’improvviso nell’azione di un soggetto,
soverchiando ogni possibilità di resistenza o contrasto da parte dell’uomo. In
tale ottica, non può attribuirsi efficacia liberatoria alla semplice prova
dell’uso della normale diligenza nella custodia dell’animale o della
mansuetudine dello stesso.
Pertanto,
riepilogando, ai sensi dell’art. 2052 c.c. la responsabilità del proprietario o
detentore dell’animale è presunta, fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di
fatto con l’animale stesso. La presunzione di colpa del custode dell’animale
per il danno cagionato dallo stesso è superabile solo con la prova del caso
fortuito, ossia dell’intervento di un fattore esterno che deve presentare i
caratteri della imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità.
E’
importante sottolineare che tale fattore esterno, secondo giurisprudenza
unanime, comprende anche il fatto colposo del danneggiato, che abbia avuto
efficacia causale esclusiva nella produzione del danno. Introdursi in un’area
riservata ai cani, giocare col proprio cane, intrattenere simultaneamente una conversazione
con altra persona, costituisce una violazione del dovere di attenzione che è
giusto esigere da una persona che si trova in un luogo riservato a cani, è
proprietaria essa stessa di un cane (e quindi conosce le dinamiche proprie di
cani normalmente tenuti chiusi in appartamenti e poi lasciati liberi in un
recinto) e sta giocando con un cane lanciandogli una pallina.
Con
l’auspicio di aver reso informazioni utili ad un rapporto maggiormente
consapevole connesso ai propri amici a quattro zampe, si salutano tutti i
lettori del www.dabitonto.com.