Dalle ultime elezioni americane in poi, i progressisti di tutto il mondo stanno vivendo una profonda crisi di identità collettiva.
In tante democrazie milioni di persone continuano a scegliere piccoli e grandi Trump, lasciando attoniti i liberali americani e la sinistra europea. L’ultimo è il candidato romeno alle elezioni presidenziali, Simion, leader del partito nazionalista Aur, forte di un consenso elettorale straripante.
Alcuni si chiedono i motivi di questa svolta a destra, una destra marcatamente estremista ed antidemocratica.
Una cosa va detta e cioè che quel che i cittadini di mezzo mondo hanno votato non costituisce una temuta deriva anti-liberale né un fascismo 2.0.
Forse al riparo delle urne quei cittadini hanno inseguito le promesse di qualche certezza. In un mondo in cui l’inflazione morde e l’insicurezza cresce, i vari Orban, Wilders e Le Pen non vengono intesi come l’origine di tutti i mali del nostro tempo, ma come quei sovranisti che, meglio, possono garantire la sicurezza dei confini, il capitalismo ed il libero mercato, i valori e le istituzioni tradizionali, un atteggiamento da falchi in politica estera.
Di fronte, magari, trovi una sinistra impantanata nel cercare di riproporre lotte risalenti ad un mondo di trent’anni fa: non sono in discussione i valori del progressismo, quali il pluralismo, la giustizia sociale, le libertà individuali, la tutela delle minoranze. Tuttavia limitarsi ad evocarli non basta, occorrono strategie nuove che partano dal prendere atto dei mutamenti della società negli ultimi trent’anni. Rilanciare vecchi slogan senza far si che alle parole seguano progetti chiari e realizzabili significa decretare la fine della idea stessa di progresso.
Peraltro, anche nel conclave imminente si fronteggeranno i due fronti, quello dei cardinali conservatori, simbolicamente guidati dal cardinale statunitense Raymond Leo Burke, quello africano Robert Sarah ed altri che si sono già distinti per il loro rifiuto del documento “Fiducia supplicans” che apre alle benedizioni delle coppie omosessuali, poi quello dei cardinali progressisti, più in sintonia con la visione missionaria ed inclusiva di Francesco.
Purtuttavia, conservatori o progressisti in campo, agli effetti del buon o cattivo governo non si sfugge: son bastati pochi mesi di disastrosa politica trumpiana, la politica dei dazi in primis, delle guerre commerciali, dell’instabilità nei mercati finanziari, a far resuscitare i progressisti in Canada ed in Australia, dove l’elettorato ha premiato, determinandone clamorose rimonte in pochi mesi, quei candidati antisovranisti che hanno promesso stabilità e dialogo internazionale, non chi ha imitato le battaglie culturali americane. Un monito anche per il nostro Paese? Staremo a vedere, la differenza la farà la percezione e la prova del buon governo, la restituzione agli elettori di quelle poche ma significative certezze promesse in campagna elettorale.
(foto dal web )