Nel Gennaio del 2002 il Boston Globe molto coraggiosamente esce in prima pagina,con il titolo “Church allowed abuse by priest for years” (La Chiesa ha permesso per anni l’abuso da parte dei preti). Lo scandalo coinvolge 87 preti della città, ma più che concentrarsi sui singoli casi la storia del Globe mette a fuoco il patto di omertà tra la Chiesa e le altre istituzioni. Ma come è iniziato il tutto? Agli albori del 2001 (prima dell’11 Settembre che glisserà di molto le indagini del giornale) il nuovo direttore del Globe Marty Baron (Liev Schreiber) chiede al più famoso e longevo gruppo di investigazione giornalistica capitanato da Walter Robinson (Michael Keaton) “Spotlight” di lavorare su una vecchia denuncia per abuso di minore da parte di un prete. Il caso Spotlight segue le fasi concitate di questa lunga ed impervia indagine in un crescendo che porterà i giornalisti a scoperchiare uno dei più terrificanti scandali della Chiesa apostolica romana e a vincere per questo un premio Pulitzer nel 2003 come miglior servizio pubblico.
Il film in corsa agli Oscar in sei categorie, tra cui quella di miglior film, non solo porta a casa il risultato, ma riesce a conquistare lo spettatore minuto dopo minuto, e come riesce a farlo? Con quello che oggi metà dei film che escono non hanno, ovvero una solida sceneggiatura, una scrittura leggere e sobria che non calca mai la mano nonostante si stia parlando di un tema duro e difficile, e lo fa grazie ai personaggi, alle parole che gli sceneggiatori Tom McCarthy e John Singer gli mettono in bocca, alla loro caratterizzazione (Michael Keaton, Mark Ruffalo e Liev Schreiber spiccano su tutti) e ai loro rapporti interpersonali, accennati ma di grande impatto.
Come già detto però al centro di tutto ci sono i giornalisti, il tutto è visto dal loro punto di vista e quindi abbiamo al centro la grande indagine per ricostruire il tutto e scoprire la verità, senza essere mossi da spiriti anticlericali (la maggior parte dei giornalisti del Globe era cattolica), ma anzi da una voglia mettere luce su l’ambiente ecclesiastico alle volte troppo protettivo nei casi di pedofilia, che era un fenomeno di grande portata e non era costituito da poche mele marce.
Tom McCarthy lavora sul tema anche mostrandoci un giornalismo ed il “giornalista” che oramai non c’è più, il giornalismo investigativo che lavorava accuratamente e lentamente sulle notizie con l’inviato sul campo, per strada, pronto a consumare le suola delle scarpe e procacciarsi le notizie e andare a fondo nella questione, tutto ciò che non esiste oggi e che è stato perso grazie anche al malevolo uso di internet che crea più disinformazione che informazione. Se non è il giornalista con le sue inchieste chi può costringere le istituzioni ad assumersi le responsabilità? Chi lo farà?
Tenete d’occhio Il Caso Spotlight, il regista con la sola narrazione, poche inquadrature che parlano più di svariate righe di dialogo ed il climax da film thriller riesce a catturare per tutte le sue due ore della durata. Duro, rabbioso, un pugno nello stomaco (non solo per i cattolici) e davvero audace.
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