In
una recente apparizione televisiva – poco più di un mese fa – in occasione
dell’uscita di una sua nuova collana di registrazioni, il celebre direttore
d’orchestra Riccardo Muti ha espresso opinioni di notevole interesse a riguardo
del mondo della musica oggi. Lungi dal profondersi in elogi ed ossequi, non ha
lesinato critiche e riserve nei confronti di colleghi direttori, registi,
cattive abitudini esecutive ed allontanamento da quel che è la grande
tradizione musicale italiana. In particolare dei registi dice:
“Strehler
non era solo un grande uomo di teatro, conosceva bene la musica. La sua regia
non era come le abominevoli regie che si vedono oggi e vengono da alcuni
lodate. Per fortuna non faccio il critico! Ho visto in televisione un po’ della
Traviata con regia di Tcherniakov, con Violetta che fa la pasta intorno ad
Alfredo e con il giardiniere costretto ad ascoltarla per dare un senso alla
regia. L’ho trovata un insulto a Verdi e all’Italia. Io non sono un
conservatore; ho fatto nove regie con Ronconi, anche contestate, ma
intelligenti. Quando la parte registica è assurda offende l’opera con
baggianate che il giorno dopo, specialmente in Germania, finiscono sui
giornali”[1]
Sul rapporto tra regia e direzione
musicale a teatro si è scritto e detto molto: generalmente una relazione non
facile, inasprita molto spesso dalla mancata conoscenza delle esigenze della
controparte. Già Wagner preferiva curare personalmente – in particolare nel
teatro di “casa” a Bayreuth – la regia delle proprie opere, di cui già redigeva
libretti e partiture. Si dovrà attendere la morte di sua moglie Cosima Liszt,
avvenuta quarant’anni dopo la sua, per poter metter mano alle vecchie
scenografie e praticare innovazioni nella messa in scena. Una scelta questa che
suscitò le critiche, tra gli altri, di Arturo Toscanini e Richard Strauss.
La tendenza attuale, però, è molto
lontana da certe forme di conservatorismo e fedeltà alle intenzioni del
compositore, forse anche in maniera eccessiva, come emerge dalle parole di
Muti. Infatti, se musica e parole sono fissate su carta al momento del
concepimento di un’opera[2], non si può
dire altrimenti della regia, che non può essere altro che figlia della temperie
culturale del momento della messa in scena. In generale oggi si preferisce
“svecchiare” le opere liriche – la cui maggior parte è stata prodotta almeno un
secolo fa – dando spazio a regie moderne ed alle volte avveniristiche. Ricordo
un allestimento dell’Ariadne auf Naxos di Richard Strauss ed Hugo von
Hofmannsthal del 2012 all’Opernhaus di Lipsia, opera a me particolarmente cara:
la casa di un ricco borghese era diventata un drive in ed in
un’atmosfera anni ’50 (kitsch, oserei dire) si muovevano surreali ninfe e
maschere della commedia dell’arte. Ancora: pochi mesi fa ho assistito ad una
rappresentazione dell’Antigone del nostro Tommaso Traetta presso i
Kammerspiele di Vienna. Se l’ambientazione (un’anonima e grigia cappella
cimiteriale) poteva rendere giustizia alla serietà della tragedia, così non è
stato per i movimenti scenici, che hanno strappato più volte sorrisi e risatine
al pubblico. Al limite del ridicolo Antigone spaccava fisicamente le lapidi di
famiglia a ritmo di musica (con gran spargimento di ossa e ceneri), si prestava
poi ad un siparietto comico con Creonte che si accingeva a seppellirla viva o
ancora verso la fine brindava con calici di spumante raggiunta da quest’ultimo
nel loculo in cui era sepolta. Tutto ciò è lontanissimo dal significato
originario dell’opera e rivela una certa osticità delle intenzioni di Traetta e
Coltellini agli occhi del regista.
Ho avuto modo anche di ammirare
almeno un paio di messe in scena di particolare interesse al Teatro Petruzzelli
di Bari. Nel 2013 è andato infatti in scena l’Otello di Verdi per la
regia di Nekrosius. Ricordo una scenografia ridotta al minimo e singolari
giochi di luci che esaltavano notevolmente l’opera del compositore di Busseto,
sottolineando a tratti l’intima psicologia dei personaggi, ma senza
esagerazioni grottesche o inopportune. Di Verdi lo stesso anno il Petruzzelli
ha portato in scena il Rigoletto, per la regia di Denis Krief.
Rappresentazione criticata da alcuni detrattori per un’esplicita scena di sesso
tra il duca di Mantova e Maddalena ma che era perfettamente in linea con il
pensiero di Verdi, a metà tra il grottesco ed il drammatico, volto a svelare i
torbidi retroscena di palazzo. Come non citare infine il Barbiere di
Siviglia di Rossini, sempre al Petruzzelli, le cui frizzanti coreografie –
in particolare nei famosi e corali crescendo rossiniani – volteggiavano
in un turbinio sfavillante di luci e colori.
La regia di un’opera lirica,
concludendo, non può prescindere dalla musica. Il panorama attuale offre però
spesso rappresentazioni che, nel tentativo di stupire un pubblico che fruisce
dello stesso lavoro da oltre un secolo, finiscono per travisare completamente
il significato della composizione originale. Quale la soluzione? Facile
auspicare un uso sapiente di elementi innovativi, ma se si tagliasse
direttamente il nodo gordiano? Se si tornasse a rappresentare opere nuove,
fresche come lo erano all’epoca Traviata, Pagliacci, Cavalleria rusticana, Tosca, la Bohème? Se si promuovesse la
creazione, invece che la reinterpretazione perpetua?
ì
[1] Fonte: Corriere della sera. L’articolo
completo è reperibile cliccando qui
[2] Sì, possono esserci piccoli tagli o
variazioni al testo o alla partitura originale, ma si tratta di interventi di
misura minore agli stravolgimenti che possono essere attuati in ambito di
regia.