Il referendum è alle porte. Domenica e lunedì saremo chiamati a scegliere se approvare o bocciare la riforma che propone il taglio dei parlamentari che riduce da 630 a 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 il numero dei senatori. Per permettere ai cittadini di farsi un’idea su un argomento così importante, il Comune di Bitonto ha organizzato un incontro pubblico per illustrare e mettere a confronto sia le ragioni del “sì”, sia quelle del “no”.
«Questa riforma non inciderà per niente sulla forma di stato, sulla funzionalità del Parlamento» spiega l’avvocato Emanuele Dimundo, difensore del taglio, di fronte all’esiguo pubblico partecipante: «Rispetto al 1963 (anno in cui il numero dei parlamentari, prima variabile in base alla popolazione, venne reso fisso, ndr) ci sono altre istituzioni che hanno preso alcune funzioni prima esercitate dal parlamento, snellendo il suo lavoro e rendendo possibile la riduzione. Nel ’63 non c’erano regioni, Province e Parlamento europeo. Poi, oggi, gran parte del lavoro è fatto dalle commissioni. Il Parlamento non legifera più e i parlamentari sono dei portavoce. La riduzione della rappresentanza è la più grande menzogna del fronte per il “no”. Il taglio sarà uguale, in proporzione, per tutti i territori. La rappresentanza, inoltre, non dipende dal numero, ma dalla possibilità di scegliere e votare il candidato parlamentare. Argomento che sarà affrontato quando sarà modificata la legge elettorale. Per quanto riguarda il risparmio, non si tratta di risparmiare solo quel che si spende per mantenere un numero così alto. Con il taglio ci saranno anche 345 campagne elettorali in meno. Sappiamo che le campagne elettorali costano e, quindi, necessitano spesso di soldi privati, che possono arrivare da lobby».
«È un inizio – conclude Dimundo – che apre, finalmente, l’era dell’ammodernamento della nostra bellissima costituzione e di una politica più ponderata».
Argomentazioni su cui è in disaccordo il professore universitario Nicola Colaianni, secondo cui la riforma tanto voluta dal Movimento 5 Stelle è subdola, perché «parte dalla coda e non dalla testa. Si tagliano i parlamentari in vista di un’eventuale riforma che poi, dovrebbe e potrebbe esserci. Per quanto io fui contrario alla riforma Renzi, almeno quella aveva un progetto, al contrario di questa».
«Non è vero che non legifera più il Parlamento – continua il professore – È vero, invece, che viene continuamente depotenziato ed emarginato. Non è messo nelle condizioni di poter legiferare a causa dei tanti decreti governativi che tolgono tempo e risorse ai tanti progetti di legge in attesa di essere discussi dalle due camere. Inoltre, è la litigiosità tra le forze politiche che rende spesso inefficiente il lavoro del Parlamento, non il numero dei suoi esponenti».
Colaianni respinge anche le argomentazioni sulla semplificazione del lavoro parlamentare a causa della nascita delle regioni: «Il nostro non è uno stato federale e su molte questioni le regioni non hanno alcun potere. Non è vero che, dal momento che esistono le regioni, il Parlamento governa di meno. Anzi, accade spesso il contrario, dal momento che, per molte materie, la competenza è concorrente. Rispetto al ’63, invece, la società è diventata più complessa e necessità di un maggior lavoro parlamentare rispetto al ’63. Basti pensare che, in quell’epoca, esisteva solamente la commissione antimafia».
«Non è vero che in tutte le regioni ci sarà lo stesso taglio. Considerando che ci sono territori che, essendo a statuto speciale, hanno di diritto dei loro parlamentari, in alcune regioni ci sarà un taglio ben superiore del 36%. Anche del 57%. Basti pensare alla Basilicata o all’Umbria. Molti territori, pur accorpandosi, non riusciranno a garantirsi una giusta rappresentanza. E, dovendo raggiungere un bacino più ampio, le campagne elettorali saranno più costose (tesi respinta da Dimundo, ndr)».
Colaianni conclude affermando che si sarebbe potuto tagliare il numero dei parlamentari, ma sarebbe dovuto essere il momento finale di una riforma strutturata: «Non si può tagliare nella speranza che, in futuro, ci sarà una riforma elettorale. Considerando che persino tra le forze di governo c’è litigiosità e che il Pd è contrario alle preferenze, c’è il rischio che dopo non ci sarà niente. È un salto nel vuoto, nel buio».