Si mobilita anche a Bitonto il fronte del “No” a quello che è definito non solo un taglio dei parlamentari, ma del Parlamento e, dunque, della democrazia. Mentre il Pd ha lasciato libertà di voto, si sono espressi chiaramente contro il taglio i partiti alla sua sinistra, Più Europa e, a destra, Forza Italia.
Ma perché votare no? Quali sono le ragioni dei contrari alla riduzione del numero dei parlamentari italiani? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Rossiello che nella Camera dei Deputati ha trascorso ben dieci anni.
Per quali motivi i cittadini dovrebbero dire “no” al referendum?
«È una riforma costituzionale che è totalmente fuori da un contesto organico, con tagli lineari partoriti solamente dall’antipolitica. È una riforma apparentemente contro la casta, ma che trasformerà quella che viene accusata di essere tale, in una casta ancora più chiusa e autoreferenziale. Chi sono quei 400 deputati e quei 200 senatori che resteranno? Saranno quelli nominati dai partiti, da loro stessi. Sarà un parlamento trasformato in ufficio di collocamento per loro stessi».
Perché il taglio dei parlamentari non aiuterebbe a migliorare l’efficienza del Parlamento?
«Nel bene e nel male, i partiti politici, un tempo, una selezione riuscivano a farla. Ora non più. Oggi il nostro Parlamento, ormai, è caratterizzato da una cultura modestissima, da un personale politico mediocre, non abituato a leggere, con scarsa propensione allo studio e senza la necessaria esperienza. È questo il vero colpo dato alla Camera e al Senato: l’abbassamento notevole del livello culturale, che ha portato ad avere una classe dirigente di basso livello. Con un taglio così lineare, senza una seria riforma costituzionale, oltre ai parlamentari assolutamente non validi, manderemmo a casa anche quei pochi validi».
Perché il taglio inficerebbe la rappresentanza?
«Molti territori resteranno senza rappresentanza, specialmente quelli con minore densità abitativa. Le regioni più densamente popolate saranno rappresentate, ma le altre vedranno ridursi la capacità di far arrivare la loro voce nella massima assise nazionale. Basta prendere una cartina geografica dell’Italia per capire quali regioni saranno svantaggiate. Avremmo un livello di rappresentanza tra i più bassi d’Europa. C’è, con questi presupposti, il rischio della definitiva rottura del rapporto tra eletto ed elettore».
Quali sono, quindi, i pericoli a cui si va incontro, nel caso della vittoria del “sì”?
«Con una riforma come quella che si vuole attuare, non è difficile paventare il declino dello stato democratico. Colpire il Parlamento significa colpire il cuore della nostra costituzione democratica, riducendo la sua capacità di rappresentare l’intera popolazione italiana. La mia amarezza è data dal fatto che sto vedendo scardinare quel che è venuto fuori dalla Resistenza. Con la scusa del risparmio, si stanno assecondando gli istinti irrazionali scatenati dalla retorica antipolitica. Vorrei ricordare a me stesso che questo è lo stesso Paese di piazza Venezia, a Roma, con le adunate oceaniche inneggianti al duce, e, allo stesso tempo, di piazzale Loreto, con lo stesso popolo che, vergognosamente, inveiva contro un cadavere a testa in giù. Bisogna avere il coraggio di dire “no” a tutto questo».