Si terranno fino alle 20, le primarie del Partito
Democratico, che decreteranno il vincitore tra i tre candidati alla segreteria
rimasti in gara: Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Giuseppe Civati.
Il quarto
candidato, Gianni Pittella, è stato, invece, escluso dalle consultazioni
interne al partito, avendo conquistato meno consensi tra i tesserati.
Tutti i
cittadini che lo vorranno, potranno recarsi ai seggi allestiti nella vecchia sede
della Dc, nei pressi di piazza Aldo Moro, o in piazza Roma a Mariotto, per sostenere uno dei tre
nomi presenti sulla scheda. Per i non tesserati il contributo richiesto è di
due euro.
Ma quella che oggi si tiene in tutta Italia non è solo
una sfida tra tre candidati, tra tre aspiranti leader di partito. E’ una sfida
tra tre modi diversi di vedere la politica, i partiti e il Pd in particolare.
Una sfida tra tre diverse concezioni.
A spiegare le tre diverse mozioni, sono intervenuti, in un incontro organizzato
venerdì scorso nella sede del partito, il cuperliano Vito Antonacci, Lillino
Sannicandro, sostenitore della mozione di Renzi, e Adriano Bizzoco, primo nella
lista per Civati nel collegio Bari Nord.
“La ragione
principale della crisi della politica non è la crisi dei partiti, ma la loro
assenza” ha introdotto Antonacci, rimproverando al Pd, la corsa ad
delegittimare se stesso: “Per rincorrere
un partito liquido, il partito dei gazebo alla fine non abbiamo avuto un
partito. Ci siamo sempre vantati di essere un partito comunità, lontano dalla
logica del pensiero unico tipica dei partiti del leader, che parlano alla
pancia dell’elettorato. Adesso non possiamo rischiare di intraprendere quella via.
Se vince Renzi avremo un leader, ma non un segretario”.
E a chi teme la
presenza di altri personaggi (leggasi D’Alema) dietro Cuperlo, Antonacci ha
replicato: “Continuare con questa tesi è
solo un modo per sviare il confronto. Tutti abbiamo delle responsabilità”.
In disaccordo con Antonacci è Sannicandro, secondo cui
“parlare di svolta leaderistica e
plebiscitaria è un esagerazione”. Dure le accuse, da parte del renziano,
alla segreteria Bersani, colpevole di aver dimezzato più che i parlamentari,
gli iscritti.
Il Pd deve dettare l’agenda, non subirla come negli ultimi venti
anni. Devono contare più i territori che la direzione centrale del partito”.
E
in merito ai timori di leaderismo paventati dai cuperliani: ““Leader” non è una parolaccia. Renzi non ha
mai parlato del partito come un animale strano. Non è uno scandalo dire che
bisogna conquistare i voti di Grillo e del centrodestra, perché non dobbiamo
parlare solo a chi già c’è, ma anche a chi attualmente non c’è. Se non
accogliamo le speranze tradite di chi ha creduto in altri progetti,
continueremo a perdere”.
“Mi sembra di
essere tornato indietro nel tempo – ha continuato il civatiano Bizzoco –. Quando nacque il Pd ci fu un intenso
dibattito su come dovesse essere il Pd. Ci si interrogò se dovesse essere un
partito strutturato e solido o più liquido, sul ruolo degli iscritti e degli
elettori. Se questo dibattito è ancora in corso vuol dire che il partito è
malato. Non credo che la mozione di Cuperlo rappresenti il partito degli
iscritti. Credo piuttosto che sia espressione del partito dei camini, e ciò non
fa bene al partito. Bisogna trovare soluzioni concrete per esempio sulla lotta
alla povertà, che non si risolve con la favola di Robin Hood sulla
redistribuzione. Civati parla, invece, di diminuire i 16 miliardi di euro di
costi della politica. Senza fare dell’inutile retorica, possiamo parlare di
tetti alle spese e lotta agli sprechi? Sull’università Civati dà risposte più
chiare, avendo redatto la sua mozione insieme a ricercatori e studenti”.
Da parte di Bizzoco, infine, accuse alle mozioni di Renzi e Cuperlo, per essere
poco chiare sui diritti civili.