Dopo i dodici referendum del 1995, nel 1997 l’Italia tornò ad esprimersi su altri sette quesiti referendari. Ancora una volta, protagonisti di questa ennesima battaglia referendaria furono i radicali che, già nell’anno precedente, tramite il Movimento dei Club Pannella – Riformatori aveva proposto venti referendum per un progetto politico che loro definivano «americano, liberale, libertario e liberista». Referendum che comprendevano la riforma del fisco, della giustizia, della sanità, aborto, obiezione di coscienza e legalizzazione delle droghe leggere.
Già nel ’96, dunque i Radicali iniziarono la loro battaglia per sensibilizzare gli italiani sui temi e per trovare fondi a sostegno della campagna referendaria superando la scarsa attenzione dedicata dai media, dando il via, il 5 ottobre alla campagna oratoria «Ma Perché?», con un comizio in Via del Corso a Roma, trasmesso in diretta su Radio Radicale.
Ma la gran parte dei quesiti si scontrò contro lo scoglio della Corte Costituzionale che, a gennaio, bocciando la gran parte dei quesiti, ne ridusse a sei il numero.
Fino a giugno i media continuarono a dedicare scarsa attenzione all’argomento e solo a meno di un mese iniziarono a parlarne, tanto da irritare i radicali che, in più occasioni, denunciarono quello che, a detta loro, era un attacco violento contro l’istituto referendario, arma che, da diversi anni, avevano fatto propria. Spesso anche in funzione antipolitica. Un attacco violento portato avanti dalle sentenze della Corte Costituzionali e dall’informazione con il suo silenzio. Tanto che, per attirare l’attenzione, Pannella e i Radicali ricorsero ad un fantasioso escamotage: il leader del movimento, durante la tribuna elettorale entrò in scena travestito da fantasma, per denunciare una situazione di illegalità ai danni dell’appuntamento elettorale. Per l’autore dell’espediente, era quello il fantasma della democrazia e dei referendum.
I Radicali rimasero isolati, tanto che, nonostante i voti favorevoli fossero la maggioranza, non si raggiunse la fatidica soglia del 50% più un elettore, necessaria per validare la consultazione e abrogare le leggi additate dai radicali, che videro arrestarsi il loro progetto di riforma radicale. A votare si recò solamente il 30% degli aventi diritto. A Bitonto, la percentuale media fu di poco superiore: 33%.
Il primo quesito riguardava l’abolizione dei poteri governativi nelle aziende private e raggiunse, in tutta Italia, il 74,06% dei consensi. Il voto bitontino fu nella media: 71,85%.
Il secondo referendum era sull’obiezione di coscienza e puntava ad abrogare la legge 772/1972 che imponeva limite per l’ammissione al servizio civile al posto del servizio militare. Qui il consenso fu del 71,69% (Bitonto: 70,84%).
Più grande fu l’assenso al terzo quesito che voleva abolire la possibilità, per i cacciatori, di accedere liberamente a fondi privati. Quesito già presentato nel ’90 ed anche in quel caso l’astensione decretò il fallimento dell’iniziativa referendaria. Nel ’97 i favorevoli furono l’80,90% (Bitonto: 82,02%)
Il quarto quesito era sull’abolizione del sistema di progressione in carriera dei magistrati. I sì furono l’83,60% (Bitonto: 79,79%).
Il quinto quesito riguardava la categoria dei giornalisti e chiedeva l’abolizione dell’Ordine. Qui i consensi furono molto inferiori. I favorevoli furono il 65,50% (Bitonto: 61,59%).
L’ultimo quesito proposto dai radicali chiedeva l’abolizione degli incarichi extragiudiziali dei magistrati. I sì furono l’85,6% (Bitonto: 82,60%).
Il settimo quesito era stato promosso da sette consigli regionali e voleva l’abrogazione del ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali. Il 66,9% votò sì (Bitonto: 60,72%).