Il Partito Socialista può essere definito il primo partito di massa della storia italiana. Fu il prototipo in Italia di questo nuovo modello di organizzazione politica che dall’800 iniziò a rappresentare ampie fasce della società all’interno delle istituzioni, affiancandosi al modello di partito ottocentesco, non strutturato e dai pochi fini ideali, in cui i rapporti personali erano alla base dei meccanismi del potere e quest’ultimo era detenuto da personalità che ricoprivano la carica elettiva alla stregua di uffici onorari destinati ad una ristretta cerchia di influenti notabili, dotati di clientele localistiche.
In particolare, il movimento socialista giocò un ruolo fondamentale per la nascita dei moderni partiti di massa, in quanto tra l’800 e il ‘900 sottopose quelle masse lavoratrici ad un processo di aggregazione e di coinvolgimento nella politica, specialmente con il graduale allargamento del suffragio, dopo che con l’avvento della rivoluzione industriale, operai di fabbrica e contadini senza terra cominciarono dunque ad esercitare pressioni sempre maggiori per ottenere rappresentanza politica. Per poter rappresentare le istanze di queste masse dal sempre crescente peso politico, fu quindi necessaria la creazione di grandi strutture organizzative e la nascita dei “politici di professione”, che raccogliessero le loro istanze e le portassero nelle istituzioni, filtrate attraverso l’ideologia, che forniva un orizzonte verso cui tendere.
Da queste premesse, nasce a Genova, nel 1892, il Partito dei Lavoratori Italiani, dalla fusione tra il Partito Operaio Italiano, la Lega Socialista Milanese e altri movimenti che si rifacevano al socialismo marxista. Nel 1893 divenne Partito Socialista dei Lavoratori Italiani e, nel 1895, Partito Socialista Italiano, denominazione che mantenne fino alla crisi degli anni ’90, fatta eccezione per pochi anni del dopoguerra, quando, dopo la fusione con il Movimento di Unità Proletaria, divenne Psiup, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Il primo circolo bitontino del partito fu il Circolo Popolare “Lavoro e Sapere”, fondato da Giovanni Ancona Martucci, insieme a Giovanni Colella che era stato a Genova e fu capace di aggregare nel nuovo soggetto politico molti giovani provenienti dall’associazionismo mazziniano.
Il Psi è il partito, durante la cosiddetta Prima Repubblica, che ha più di tutti governato a Bitonto. Aveva la sede prima su Palazzo De Ferraris – Regna, in piazza Cavour, sopra quella che oggi è una farmacia. Prima di spostarsi all’interno del Torrione Angioino. La gran parte dei sindaci che hanno governato la città proveniva dal Psi, senza contare le amministrazioni in cui, pur non avendo ottenuto la carica monocratica, i socialisti partecipavano al governo cittadino ricoprendo assessorati. Se si non ci fossero state la parentesi dal ’61 al ’71 e la brevissima esperienza di Michele Labianca, dall’85 all’87, in cui è stata la Democrazia Cristiana a governare la città e a nominare il primo cittadino, quello del Psi sarebbe stato un dominio ininterrotto per quasi mezzo secolo.
Tra quei sindaci c’è stato Emanuele Masciale, classe 1944, che a 9 anni ricevette la sua prima tessera della Federazione Giovanile del partito dal padre e dallo zio. Quest’ultimo era Angelo Custode Masciale, sindaco cittadino dal ’53 al ’58 e, in seguito, senatore.
«Erano tempi in cui un tozzo di pane, un posto di lavoro erano tutto per molte famiglie. Quindi schierarsi dalla parte di queste persone, per aiutarle a realizzarsi era quel che sentivamo e sentiamo ancora. Perché i valori socialisti non sono tramontati» spiega Masciale ricordando le motivazioni della sua adesione e la vita in quei grandi partiti: «La vita nel Psi era simile a quella degli altri. Negli anni della Prima Repubblica c’è stato un fiorire di giovani che si sono affacciati alla politica nel Psi, nel Pci, nella Dc, perché erano cenacoli veri e propri, scuole in cui si iniziavano a capire i problemi della società, le difficoltà di amministrare. Dopo il tempo giornaliero dedicato allo studio, era naturale frequentare il partito, dove si incontravano coetanei e, con loro, si incontravano chi era già sulla breccia: consiglieri comunali, assessori, sindaci, per iniziare a capire con loro le problematiche verso cui saremmo andati incontro quando avremmo raccolto il loro testimone. Così quando ci sarebbe stato il ricambio, avremmo avuto un’idea di quello a cui saremmo andati incontro, non come i dilettanti allo sbaraglio che oggi affollano le arene politiche. Oggi c’è la necessità di partiti».
«Le campagne elettorali erano vissute in maniera goliardica. La preparazione dei comizi era una festa nel vero senso della parola. All’epoca si facevano i comizi rionali. Noi ragazzini eravamo dislocati nelle varie parti della città e parlavamo con chi si voleva fermare dei problemi di quella via, di quella piazza. Portavamo la voce del partito. Quello che sembra si siano inventati i populisti dell’ultima ora» ricorda Masciale, sottolineando anche che tra le attività svolte c’era anche la redazione di un giornale: «All’epoca, non c’erano tutte le strumentazioni tecniche di oggi. Avere un ciclostile (un sistema di stampa meccanico in uso all’epoca, ndr) era avere qualcosa di grandioso. Poiché non era possibile raggiungere con l’Avanti (quotidiano del Psi, ndr) tutta la pletora dei nostri iscritti e simpatizzanti, sceglievamo argomenti a nostro giudizio importanti e diffondevamo le copie nelle piazze, dove si faceva la politica, specialmente durante i comizi, che erano i momenti clou, in modo da raggiungere tutti gli iscritti e i simpatizzanti».
E delle campagne elettorali Masciale ricorda anche gli screzi con le altre forze politiche, specialmente con i comunisti, con cui c’era un rapporto di odio e amore, come conferma anche Franco Matera, che del PSI è stato successivamente segretario, ricordando come, ai cortei del 1° maggio, si partisse da piazza Cavour prendendo prima i partigiani dalla sede dell’Anpi, in largo Gramsci, e poi i comunisti dal corso: «Nel corteo la famiglia socialista e quella comunista erano separate. E anche quando si cantavano brani come Bandiera Rossa, noi gridavamo la parola “socialismo”, loro “comunismo”».
«Aderii al Psi nel 1980 – ricorda Matera – in quanto condividevo le idee di una sinistra moderata, riformista, laica. Ci avvicinammo in molti tra i giovani di quel periodo, tra cui Michele Coletti, Pasquale Picciariello, Vincenzo Carbone, Francesco Di Mundo. Ci fu un gruppo di giovani che si avvicinò al Psi. La sezione era una casa, un punto di ritrovo. Ci si incontrava, si discuteva di vicende nazionali e locali, ci si incontrava, si giocava. Ci si incontrava per le feste. L’Assemblea era, e lo è anche oggi, il massimo organo deliberante, poi c’erano il Direttivo, la Segreteria. Questi erano gli organismi di partito, che si riunivano periodicamente. Se un compagno contestava qualcosa, gli si rispondeva che la decisione era stata presa da un direttivo. C’era il primato della sezione, di un organismo. Poi c’erano molti circoli culturali socialisti, in base alle correnti, ma facevano riferimento alla sezione. Ai congressi si invitavano anche gli esponenti di altri partiti, compreso l’Msi. Le aperture delle campagne elettorali in genere le facevamo all’Ariston e veniva tantissima gente. La sezione giovanile aveva anche una squadra di calcio».
Per comunicare con la cittadinanza si utilizzavano le piazze, i comizi e le bacheche in Corso Vittorio Emanuele II: «Prendevamo gli articoli più importanti dell’Avanti e li mettevamo lì».
Quel partito ormai non esiste più. Si sciolse nel 1994, dopo 102 anni di storia, indebolito dalla crisi politica, dalla corruzione che aveva infettato l’intero sistema partitico sempre più debole, dalle inchieste della magistratura volte a combattere quella corruzione e dal clima politico fortemente antipartitico dei primi anni ’90, che individuarono le cause di quella corruzione nell’essenza stessa del sistema partitico. Ci fu una diaspora e i socialisti confluirono in diversi nuovi partiti.
Nel 2007 rinacque un nuovo Partito Socialista Italiano, dalla forza notevolmente inferiore rispetto al suo predecessore. Ma dall’organizzazione e dalla struttura simili, perché, come spiega l’attuale segretario Luca Matera, «il vero problema non è essere o non essere un partito, ma prendere decisioni che siano o meno espressione di una collettività. Se il consigliere Scauro esprime un parere in aula consiliare, non lo fa solo a suo nome, ma a nome di una collettività, quale è il partito. È un parere dietro cui c’è un ragionamento. Oggi invece assistiamo all’eliminazione di questa collettività, alla personalizzazione della politica. Ma se le decisioni sono prese da una collettività, sono sicuramente migliori. Se sono prese da persone a cui viene presentato un provvedimento da votare in modo favorevole o contrario saranno invece monche di un ragionamento, come spesso succede oggi. C’è chi decide e chi vota. Non c’è discussione, non c’è ricchezza di idee, ma c’è inaridimento».