Come abbiamo più volte ribadito, tra anni ’60 e ’70, tutte le istituzioni entrarono in crisi. Tra tutte, le più colpite furono le istituzioni religiose e, in primis, la Chiesa Cattolica, le istituzioni e i partiti politici ad essa collegati, come la Democrazia Cristiana. Da quella stagione di tensioni e conflitti il cattolicesimo italiano uscì trasformato irreversibilmente.
Che la Chiesa e il suo partito di riferimento fossero contestati non fu certo una novità. Specialmente da sinistra, più volte la Chiesa era stata accusata di essere più vicina ai latifondisti, ai padroni, che ai poveri contadini, agli operai. Era stata accusata di essere una forza conservatrice, un freno all’emancipazione del proletariato. Una feroce contrapposizione c’era stata, da sempre, tra Chiesa da un lato, socialisti e comunisti dall’altro.
Ma tra gli anni ’60 e gli anni ’70, quella che andò in scena non fu solo una contestazione al mondo cattolico. Fu anche e soprattutto una contestazione all’interno del mondo cattolico, verso le sue istituzioni e le sue gerarchie. Anzi, è riduttivo anche parlare di semplice dissenso, dato che, in quegli anni, la Chiesa attraversò un periodo di forti trasformazioni. Un periodo iniziato con l’avvio del Concilio Vaticano II, convocato da papa Giovanni XXIII nel 1962 e conclusosi tre anni dopo, sotto il pontificato di Paolo VI. Per usare un’espressione di un interprete di quel periodo, il giornalista Raniero La Valle, il “Sessantotto”, per i cattolici, iniziò sei anni prima. Il Concilio segnò un cambio di rotta della Chiesa, sotto diversi punti di vista. Liturgico, con la scomparsa della messa in latino. Ecumenico, con la riaffermazione della necessità di dialogo con le altre confessioni religiose, cristiane e non. E politico, con la fine della dura contrapposizione contro il comunismo e l’apertura di una fase di dialogo con i comunisti, nell’auspicio di una distensione nella guerra fredda tra Ovest ed Est.
Fu un tentativo, dunque, di rinnovare la Chiesa, che in Italia era fortemente conservatrice, per adeguarla ai tempi moderni.
Fu un fenomeno internazionale, che, tuttavia, ebbe un ruolo fondamentale nell’ambito dei rapporti tra Chiesa e politica italiana nel ‘900. La contestazione cattolica, dunque, fu un effetto della combinazione di diversi processi: la modernizzazione avviata con il Concilio, la secolarizzazione della società, che vide specialmente i più giovani allontanarsi dalla Chiesa, e le manifestazioni del “Sessantotto”, che, da parte cattolica, fecero proprie alcune delle istanze di modernizzazione del Concilio e delle spinte di rinnovamento che arrivavano sin dall’immediato dopoguerra, dal movimento dei preti operai, dalle idee di don Lorenzo Milani e di don Primo Mazzolari, con la sua rivista “Adesso” e le rivendicazioni del diritto all’obiezione di coscienza, le istanze egualitarie portate avanti sin dagli anni della lotta di liberazione dal fascismo, a cui Mazzolari partecipò attivamente.
Nel cattolicesimo italiano, dunque, ci furono tensioni latenti ma diffuse, che, aggravate dai conflitti interpretativi nati dal Concilio Vaticano II, trovarono nel ’68 una valvola di sfogo.
Espressione del dissenso, in area cattolica, oltre agli studenti, furono anche teologi, intellettuali, docenti, giornalisti, sindacalisti. Anche sacerdoti e larghi settori della comunità ecclesiastica ed esponenti dell’associazionismo. Al dissenso cattolico contribuirono, ad esempio, esponenti dell’Azione Cattolica, della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani), delle Acli, da cui partì l’ondata di contestazioni che si diffuse nelle parrocchie e in nuovi movimenti. Il ’68, nel mondo cattolico, alimentò nuove istanze, mutò profondamente la Chiesa, i suoi riti, i suoi orientamenti. E, ovviamente, generò contrasti e divisioni, specialmente tra i più giovani, che spesso condivisero temi e istanze con le componenti più di sinistra dei sessantottini. A partire dall’antiautoritarismo, dal rifiuto della delega e dalla volontà di una democrazia assembleare, diretta, partecipata.
Si criticarono l’università e le sue modalità di trasmissione del sapere, la società del consumismo e il modello di società che era stato egemone negli anni precedenti, i suoi tabù, soprattutto in tema di rapporto tra i sessi, libertà sessuale, ruolo della donna.
Anche in ambito cattolico si fece propria la lotta al capitalismo, alle modalità di lavoro allora in vigore, allo sfruttamento del Nord a svantaggio del Sud del mondo.
Un vasto dibattito, all’interno del cattolicesimo italiano, che trovò espressione anche in riviste come “Il gallo”, che aprì al confronto con il marxismo, “Il Regno”, “Testimonianze” diretta da padre Ernesto Balducci e “Questitalia” di Vladimiro Dorigo, che criticarono la meccanica trasposizione dei principi religiosi nella politica, rivendicando un’autonomia politica dei cattolici. Ciò, in pratica, significò una critica al principio dell’unità cattolica in politica, sotto il vessillo della Democrazia Cristiana. Un’unità vista come forzata, all’interno di un partito che era il perno del sistema di potere, il simbolo dell’occupazione del potere. E portò alla formazione di varie sigle sindacali e politiche. Come, ad esempio, il Movimento Politico dei Lavoratori (Mpl) di Livio Labor, ex presidente delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (Acli), che si presentò alle politiche del ’72, ottenendo, tuttavia, una percentuale bassissima di voti. 120251 voti (0.36%) in tutto il territorio nazionale, mentre a Bitonto prese 12 voti (0,06%).
Un fallimento elettorale che portò al suo scioglimento e alla migrazione di gran parte dei suoi esponenti nel Partito Socialista Italiano, svolgendo un ruolo chiave nei futuri sviluppi del socialismo nostrano. Un’altra parte approdò in Alternativa Socialista, per poi unirsi al Nuovo Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (Nuovo Psiup) e, successivamente, nel Partito di Unità Proletaria (PdUP).
Formazioni politiche che, dunque, guardavano a sinistra, al movimento operaio di ispirazione socialcomunista, finendo anche per fare la propria parte nel variegato universo della sinistra extraparlamentare.
Sempre in larghi settori del cattolicesimo, che si identificarono nella “Chiesa dei poveri”, si diffuse un’ideologia pacifista e pauperista, critica anche verso l’identificazione tra Chiesa e civiltà occidentale. Un’ideologia che predicava una presenza ancora più attiva nel sostegno a chi vive in condizioni di marginalità e disagio sociale, alla presenza missionaria.
Si diffusero anche istanze critiche verso l’imperialismo, specialmente quello statunitense, che, negli anni ’60, aveva dato inizio alla drammatica guerra in Vietnam. Istanze nate dal mito di Che Guevara e dalla teologia della liberazione, quella corrente di pensiero che si diffuse nell’America Latina che vide come precursore Camilo Torres Restrepo, prete guerrigliero boliviano. Una teologia che predicava apertamente la lotta di liberazione dall’imperialismo, anche armata, da parte dei paesi del Terzo Mondo.
Così, anche nel cattolicesimo italiano e non solo, si diffusero correnti di pensiero caratterizzate dal pacifismo militante, frutto anche della paura per la contrapposizione nucleare, che, tuttavia, si accompagnava ad un antimperialismo che non escludeva la lotta armata, sostenuta anche da motivazioni teologiche.
Tutto ciò non poteva che avere conseguenze anche nelle città, nei comuni, nei territori più periferici. Sorsero comunità che abbracciarono un pensiero critico verso la Chiesa Cattolica, accusata di aver tradito lo spirito del Concilio, e che forzarono, talvolta in senso marxista, le istanze di rinnovamento del Vaticano II. Si sperimentarono nuove liturgie, non senza forti tensioni con l’autorità ecclesiastica.
Nacquero comunità come quella dell’Isolotto a Firenze, di Sant’Egidio, del monastero benedettino di San Paolo fuori le Mura a Roma (retta dall’abate Franzoni che, all’inizio degli anni ’70, fu anche ospite a Bitonto), di via Vandalino a Torino, dell’Incoronata a Milano, di San Nazaro a Brescia, di Gioiosa Jonica in Calabria, giusto per citare le più famose. Nel Sud Italia, tra le più rilevanti, ci fu quella del Sacro Cuore di Lavello, retta da don Marco Bisceglia, prete che aderì apertamente alla teologia della liberazione ed espresse simpatie per il Partito Comunista Italiano, finendo per scontrarsi ripetutamente con le gerarchie cattoliche. Punto di riferimento del dissenso cattolico tra Puglia e Basilicata, fu attivo nella campagna referendaria del ’74, schierandosi a favore del diritto al divorzio e girando tra i diversi paesi delle due regioni per spiegare le motivazioni del “no” all’abrogazione della legge. Fu, in seguito, tra i maggiori attivisti per i diritti degli omosessuali, fondando, nell’80, l’Arci Gay.
Queste comunità, dette “comunità cristiane di base” si ispiravano alle comunità sorte in Sudamerica. Nacquero anche in Puglia. La più importante fu quella di Conversano, retta da don Vincenzo D’Aprile. Sorsero anche diverse comunità baresi, a partire dalla “Camillo Torres”, intitolata al già citato sacerdote cattolico boliviano. Rimanendo in provincia di Bari, ci furono comunità anche ad Altamura, Molfetta, Noicattaro, Minervino Murge.
Comunità verso cui anche alcuni religiosi bitontini dedicarono la loro attenzione, come ci conferma il professor Vincenzo Robles, che era stato presidente Fuci in città e che visse da vicino quel momento particolare della storia del cattolicesimo italiano: «Ci fu un tentativo di creare una comunità di base, da parte di sacerdoti più vicini alle ragioni del dissenso cattolico. Ma, nel complesso, non ci furono grosse manifestazioni nel nostro paese. La cosa più rilevante fu, in quegli anni, la scomparsa dell’Azione Cattolica a Bitonto».
E, infatti, lo scontro interno al mondo cattolico vide contrapporsi le strutture tradizionali, come proprio l’Azione Cattolica, e i nuovi gruppi spontanei e movimenti che accusarono le strutture sottoposte al controllo della gerarchia ecclesiastica di non essere più adeguate: «Insieme ad altri esponenti dell’associazionismo cattolico, come Marco Vacca, allora presidente cittadino della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, criticammo l’Azione Cattolica e i privilegi di cui godevano i suoi tesserati, in base al principio dell’unicità del popolo di Dio e all’idea per cui l’unica tessera è il battesimo. Le parrocchie iniziarono a non rinnovare le tessere. Ovviamente fummo criticati. Ma il vescovo Aurelio Marena, se pur non certo contento, non intervenne mai in modo apertamente critico verso di noi, mostrando apertura al dialogo. Fu un’opposizione interna al mondo cattolico, non esterna».
La Chiesa e il mondo cattolico nel suo complesso uscirono profondamente cambiati dall’esperienza di quegli anni. E lo si poté notare sin da subito, con l’emorragia di sacerdoti, con la sconfitta del referendum sulla legge Fortuna sul divorzio, che vide molti cattolici schierarsi per il mantenimento del diritto, in contrapposizione alla linea di Cei e Dc (una sconfitta amara che portò anche alla fine dell’esperienza dei Comitati Civici), con le critiche alla permanenza dell’istituto del Concordato del ‘29. Lo si poté notare, ancora, con la rottura tra Dc e gerarchia ecclesiastica da un lato e Acli dall’altro. Queste ultime intrapresero una strada più di sinistra. Con l’adesione di molti giovani al movimento studentesco, la crisi di partecipazione e la perdita di tantissimi iscritti per le associazioni cattoliche e per la Democrazia Cristiana.
Eredi di quell’esperienza, a mezzo secolo di distanza, sono, oggi, le comunità cristiane di base, che ancora esistono e il movimento “Noi siamo Chiesa”, appendice italiana di “We are church”, comunità a livello mondiale che invoca la ripresa del percorso iniziato con il Concilio Vaticano II, le cui speranze di rinnovamento, a loro dire, sono state finora deluse.