Finora abbiamo parlato delle forze che facevano parte del cosiddetto “arco costituzionale”, quelle forze, cioè, che erano state protagoniste della stesura dei lavori dell’Assemblea Costituente e che, dunque, si riconoscevano pienamente nel sistema politico nato il 2 giugno 1946. Ma nello scacchiere della politica del secondo dopoguerra non c’erano solo loro. C’era anche chi ne era fuori.
Oltre al Msi, che non rientrava in quanto si rifaceva all’esperienza fascista e non condivideva i valori dell’antifascismo, all’arco costituzionale non appartenevano, ovviamente, i monarchici (nonostante tra le loro fila ci fossero state anche formazioni partigiane), nostalgici della monarchia sabauda e risultati perdenti nel referendum istituzionale, dove il 54% degli italiani espresse la propria preferenza per la repubblica (a Bitonto prevalsero i monarchici che con 10095 preferenze raggiunsero il 60,77%, mentre la repubblica ottenne 6517 voti, il 39,23%, mentre il totale dei votanti fu del 91%, in media con il dato nazionale). Ma il risultato generale è noto. Vinse la repubblica e i Savoia furono esiliati.
I nostalgici della corona, in Italia, si riunirono nel Partito Nazionale Monarchico che basava la propria attività su idee liberali e che, sostanzialmente, si collocava, ideologicamente a destra, tanto che, dopo la dissoluzione, confluì nel Msi.
Inizialmente non era l’unico partito monarchico. Il primo in tal senso fu il Partito Democratico Italiano che partecipò anche alle elezioni per l’Assemblea Costituente come parte del Blocco Nazionale della Libertà (BNL), ma che, però, nell’ottobre ’46, già si sciolse, confluendo nel Partito Liberale Italiano (che, tra l’altro, era stato l’unico partito del Cln a schierarsi per la monarchia). Altre forze che si rifacevano al vecchio sistema politico erano il Partito Nazionale Cristiano di Agostino Padoan, il Partito Nazionale del Lavoro di Aldo Salerno, il Movimento Popolare Monarchico di Luigi Filippo Benedettini, oltre ad associazioni e altri movimenti. Tra questi spesso c’erano rivalità e divisioni
Ma occupiamoci qui del principale, il Partito Nazionale Monarchico che nacque il 13 giugno ’46, pochi giorni dopo il referendum e la partenza di re Umberto, dalla fusione di altre forze liberali e conservatrici favorevoli alla corona. Fu fondato dall’onorevole Alfredo Covelli, eletto alla Camera nel 1948. Nell’idea monarchica, la forma istituzionale della monarchia era quella che meglio rispondeva alle istanze del popolo italiano, specialmente nel Mezzogiorno, dove la devozione alla corona era ancora grande, come disse, nei primi anni ’50, Achille Lauro (storico esponente monarchico di cui torneremo a parlare), tentando di convincere la Dc ad un’alleanza in funzione anticomunista.
E, in effetti, il Pnm non era certo un partito debole. Tanto che, nel 1953, ottenne 1 milione e 800mila voti alla Camera e 1 milione e 500mila al Senato, eleggendo rispettivamente 40 deputati e 18 senatori. A Bitonto ne ottenne ben 3220, risultato di poco inferiore a Pci e Psi. Al Senato, inoltre, era riuscito a far eleggere, in quell’anno, Franco Rogadeo, colui che donò al Comune di Bitonto Palazzo Rogadeo, sede oggi della Biblioteca Comunale. Medaglia d’argento al valor militare ricevuta direttamente dalle mani di Umberto II, fu un convinto monarchico e, dopo il referendum, da direttore generale del Personale della Marina, sciolse il suo giuramento come ricordò Marino Pagano su Bitontolive.
«I monarchici sono tanti, tanti, tanti» erano soliti ripetere i monarchici dalla loro sede bitontina, come ricordò invece Roberto Toscano in un articolo apparso su Primo Piano nell’ottobre 2016. Un’autoaffermazione di forza a cui i democristiani rispondevano: «Non tanto, non tanto, non tanto».
Il pensiero monarchico era caratterizzato da una profonda diffidenza verso le organizzazioni partitiche, dovuta sia all’ideologia liberale in cui si inseriva, sia al fatto che quel sistema politico era nato sulle ceneri della compianta monarchia sabauda. Lo stesso termine “partitocrazia”, con valenza dispregiativa e antipartitica, fu coniato da un illustre esponente di quell’area liberale e monarchica, Roberto Lucifero, e fu poi diffuso dal giornalista Giuseppe Maranini, per denunciare il potere dei partiti. Fu, quindi, tra le prime forme di avversione ad essi, nella neonata repubblica italiana.
Ma il Partito Monarchico Nazionale non durò molto. Reduce da una scissione che nel ’54 portò alla nascita del Partito Monarchico Popolare del già citato Achille Lauro, si riunì nel ‘59 con quest’ultimo nel Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, per poi confluire definitivamente, nel ’72, nel Movimento Sociale Italiano.
Alcuni esponenti monarchici, comunque, dopo la fine del Pdium, continuarono a portare avanti la causa monarchica, con movimenti e associazioni tuttora esistenti, come l’Unione Monarchici Italiani, il Movimento Monarchico Italiano (già esistente dal ’44) e l’Alleanza Monarchica. Ma la loro rilevanza in politica si era ormai notevolmente ridotta.
Oggi i monarchici esistono ancora, se pur con una rilevanza politica e sociale nulla. La già citata Unione Monarchica Italiana, il 1° luglio di due anni fa, nella vicina Bisceglie, organizzò anche un convegno dal titolo “Da Caporetto a Vittorio Veneto, la storia si ripete?“
«Saremmo dei pazzi se proponessimo lo stesso modello di settant’anni fa. Trovo molto interessante, allo stato attuale, il funzionamento della monarchia in Europa: le più grandi democrazie parlamentari del pianeta sono le monarchie costituzionali europee. È proprio questo il modello da cui bisogna ripartire: il re arbitro, terzo e imparziale, custode della libertà costituzionale e delle tradizioni, autentico interprete della nazionalità, territorialità, sovranità. Il popolo sovrano che si riconosce in un capo dello Stato terzo e imparziale: è questo che bisogna cercare di realizzare oggi in Italia» disse, in un’intervista pubblicata su BitontoViva, il presidente nazionale dell’Umi Alessandro Sacchi, convinto che «è facile entrare in una merceria di Edimburgo e trovare un ritratto della Elisabetta II, regina d’Inghilterra, è altrettanto facile entrare in un ristorante di Amsterdam e vedere un ritratto del re; è invece impossibile entrare in una pizzeria in Italia e trovare un’immagine del Presidente della Repubblica. A questi segnali bisogna stare attenti: vuol dire che nei Paesi in cui vige la monarchia vi è un legame stretto e fortissimo tra la gente e le istituzioni incarnate da una persona».
Nell’intervista si parlò anche di ambizioni politiche dei nuovi monarchici: «Noi non siamo un partito, ma dopo settant’anni siamo stanchi di essere utilizzati come un serbatoio di voti per organizzazioni e partiti che ci chiedono un soccorso in tempo di elezioni. Siamo pronti a presentare nostre liste, con nostri candidati, abbiamo un obiettivo grande e ambizioso ma attuabile: l’abrogazione dell’articolo 139 della Costituzione. La Costituzione repubblicana esordisce in maniera enfatica, con l’articolo 1, affermando che la sovranità appartiene al popolo, un enunciato molto impegnativo. La stessa Carta Costituzionale si chiude, con l’articolo 139, dicendo che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Quindi, mentre si annuncia una sovranità piena ed esclusiva, nello stesso tempo la si comprime con l’articolo 139. È alla portata di tutti gli operatori del diritto che la sovranità o è piena o non è sovranità: quindi se il popolo è sovrano, allora deve essere libero di scegliersi le istituzioni che lo governano. Non è pensabile che dopo settant’anni noi abbiamo una sovranità compressa da una decisione presa dalla generazione dei nostri nonni. Repubblica eterna e perfetta: così non va».